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Il mensile della Lega democratica ‘Appunti di cultura e di politica’ è stato uno strumento fondamentale dei “saperi” del cattolicesimo democratico nel nostro Paese, e ha fondato le sue origini nella dottrina sociale della Chiesa, a partire dal Concilio vaticano II.

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Lorenzo Biondi

A testimoniare la validità della rivista e dell’esperienza nel suo complesso, è stato di recente presentato il libro di Lorenzo Biondi La Lega democratica. Dalla Democrazia cristiana all’Ulivo: una nuova classe dirigente cattolica* e, al riguardo, ci preme stralciare alcune considerazioni di Pierluigi Castagnetti: “La Lega democratica è stata un’associazione di intellettuali cattolici che, a dieci anni dalla conclusione del Concilio, sentirono la necessità di elaborare modalità e contenuti contemporanei di impegno nella società e nella politica.”
L’idea nacque all’interno del gruppo dei “cattolici del no”, al referendum per l’abrogazione della legge istitutiva del divorzio, nel 1974. Fu l’esito di quel referendum, e la lettura che per primo Aldo Moro ne fece al consiglio nazionale della Dc nel luglio 1974, contribuì ad illuminare la dimensione della secolarizzazione già intervenuta nella società italiana e, dunque, l’esigenza per i cattolici di prendere atto della loro minorità e della necessità di capire come poter diventare interlocutori della nuova realtà.
C’era in loro, da un lato la convinzione di aver fatto nel referendum una scelta giusta, e dall’altro la mai pienamente superata sofferenza per un gesto di disubbidienza che aveva creato amarezza e qualche incomprensione nella comunità ecclesiale. Si trattava perciò di riprendere il discorso, per dare conto delle motivazioni profonde di quel gesto e per sollecitare la necessità di pensare su basi nuove la presenza politica dei cattolici.
Nacque così la Lega, come cenacolo fra intellettuali, e tale rimase sino alla fine. I veri promotori furono Pietro Scoppola, Ermanno Gorrieri e Achille Ardigò. Scoppola, in quegli anni, stava “scoprendo” la straordinaria personalità di De Gasperi e sentiva l’esigenza di riproporne il modello di laicità-spirituale; Gorrieri riteneva di dover “approfittare” della segreteria Zaccagnini per un ultimo tentativo di rinnovamento della Dc, aiutandolo sul piano delle idee; Ardigò, interessato e conquistato dalle grandi trasformazioni sociali e scientifiche in atto, avvertiva l’esigenza di un luogo che riproducesse il clima e gli stimoli della vecchia comunità dossettiana di Cronache sociali.
Il gruppo ben presto si allargò. C’erano i bresciani (Luigi Bazoli e Leonardo Benevolo), i romani (Nicolò Lipari, Paola Gaiotti, Paolo Giuntella, Michele Dau), i bolognesi (Nino Andreatta, Paolo, Giorgio e Romano Prodi, Roberto Ruffilli, Luigi Pedrazzi), i milanesi (Luciano Pazzaglia, Piero Bassetti), i sindacalisti (Pierre Carniti, Carlo Borgomeo, Luigi Paganelli), i giovani della Fuci (Ronza, Novelli, Tonini, Ceccanti, Tognon) e tanti altri ancora.
Il dibattito era animato fondamentalmente dai tre promotori, dalle loro sensibilità ed esperienze, dalle loro ricerche, dalla loro diversa attitudine a pensare politicamente. Scoppola a me pareva particolarmente efficace nell’indicare la strada di un impegno nella storia dei cristiani, alla luce delle indicazioni conciliari e delle esperienze di De Gasperi e di Moro.
Ardigò era il più suggestivo quando indicava la necessità di una dilatazione di orizzonte per il pensiero cattolico. Gorrieri ebbe il merito di portare al centro della riflessione l’esigenza di un ampio ripensamento del modello di welfare, degenerato in forme di deresponsabilizzazione soggettiva e di profonda ingiustizia distributiva, che contribuivano alla progressiva perdita di attenzione all’interesse collettivo e all’unità del corpo sociale.
Nacque un dibattito aperto ai maggiori economisti, sociologi, sindacalisti, imprenditori (quelli che gravitavano attorno al Mulino e alla nascente Arel), che mise sotto accusa il modello di governo e di acquisizione del consenso della Dc, oltreché della sua cultura tendenzialmente socialdemocratica o tardo-dossettiana, come si diceva allora.
Sta di fatto che quei confronti a spettro culturale ampio e ambizioni riformistiche alte, generarono la legittima aspirazione ad esercitare un’influenza sul sistema politico che si realizzò solo in parte, sia per il vezzo un po’ troppo elitario di ritenere che il pensiero bastasse a cambiare le cose, sia per le altalenanti vicende congressuali della Dc che provocarono periodicamente fasi di apertura e fasi di chiusura verso tali stimoli.
De Mita sembrò il segretario del radicale rinnovamento (Scoppola e Lipari accettarono di entrare al Senato come indipendenti nelle liste della Dc), ma la sconfitta elettorale del 1983 e le vicende successive provocarono non solo una forte delusione, ma la convinzione di una certa “irreformabilità” del sistema.
L’esperienza della Lega, però, che pure durò solo dodici anni, lasciò il segno nella definizione di un impegno laicale serio e moderno sul terreno della mediazione fra cristianesimo e storia, della necessità per la politica di passare dalla cultura del progetto alla cultura della complessità, dell’accettazione da parte del credente delle contraddizioni della storia, coltivando dentro di sé una “spiritualità del conflitto”, della modalità di essere membri consapevoli e utili di quel Popolo di Dio che è Chiesa, della possibilità infine di fecondare la società con quei valori miti e solidi della tradizione cristiana che l’aiutano a diventare comunità.
Per queste ragioni, riccamente documentate da Lorenzo Biondi, nonostante l’apparente sconfitta politica, la Lega democratica restò a lungo un fecondo segno di contraddizione, contestato e osteggiato da gran parte della gerarchia e da gran parte dell’establishment politico. Ma da quei materiali sarà bene ripartire se si vuole ancora oggi dare un senso all’impegno dei credenti nella storia.
Si è pensato, nella circostanza, di richiamare lo scritto di Pierluigi Castagnetti, ultimo segretario del Partito popolare italiano e cofondatore sia dell’Ulivo che del Pd, per dire che chi dice, come in questi giorni è apparso su alcuni quotidiani italiani, che il cattolicesimo democratico è una sorta di cattocomunismo, è consapevole di affermare il falso, anche se si è in tempi di campagna elettorale.
Chi lo sostiene, non ha mai incontrato e sentito qualcuno che associasse le due parole, anche perché non stanno insieme, e chi è stato apostrofato di cattocomunismo sa che non è nelle corde e neppure nei pensieri avanzati della teologia della liberazione.
Avendo, poi, frequentato molti luoghi in Strada Maggiore a Bologna, ogni riferimento ai cattocomunisti è nell’immaginazione e nella fantasia di contenuti che alla dottrina politica non risultano; ma purtroppo quando il falso viene ripetuto decine e decine di volte, si finisce per crederci e per far credere che sia una verità. Peccato.

* Lorenzo Biondi, La Lega democratica. Dalla Democrazia cristiana all’Ulivo: una nuova classe dirigente cattolica, Viella ed., Roma, 2013

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Enzo Barboni


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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