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Avete mai camminato a piedi nudi nel bosco? Il muschio è incredibilmente morbido, vellutato e con un sottofondo elastico e soffice che accoglie il piede meglio di qualsiasi materiale tecnologicamente avanzato. Il piacere di toccare con mani e piedi questa tenera moquette prodotta dalla natura, viene poi aumentato –  all’interno della foresta – dal profumo legnoso di abete che si respira e da quello balsamico della resina che ci si ritrova incollata a mani e piedi. È stato tanto sorprendente quanto gioioso, per me, godere dell’accoglienza del bosco senza pensare a vipere, lupi e orsi che da qualche parte di sicuro ci saranno stati, agli insetti che ci vivono e che in realtà in quel momento mi hanno lasciato in pace, alle favole ascoltate da bambina prima di addormentarmi e agli avvertimenti ricevuti da ragazzina prima e durante ogni escursione.

Così, seduta su un ceppo tappezzato da uno strato muschioso e con la schiena appoggiata a un larice, ho dimenticato gli avvertimenti dati dalla mamma a Cappuccetto Rosso prima che partisse per andare a trovare la nonna, ho lasciato in disparte la memoria di Pollicino disperso nel labirinto selvaggio e mi sono concentrata ad ascoltare le indicazioni dell’accompagnatore che ha portato me e altre cinque persone a sperimentare il “Bagno di foresta”.

Tra le tante proposte di passeggiate ed esplorazioni che venivano offerte durante il mio soggiorno in Val di Non, in Trentino, ho infatti deciso di accogliere questa attività di cui avevo sentito parlare e che non avevo chiaro esattamente in cosa consistesse. “Il bosco è formato da organismi vegetali in grado di comunicare tra loro – ha spiegato la guida Antonio Poletti – perché attraverso le radici e utilizzando le spore dei funghi (che sono ottimi trasmettitori) recepiscono e diramano informazioni su ciò che accade a loro e intorno a loro. E se arriva, ad esempio, un cervo che si mette a mangiare i loro teneri germogli o una persona che strappa rami e foglie, le piante diffondono messaggi di allerta che rimbalzano in tutto il gruppo di organismi viventi, vegetali e animali. Succede così che un’aggressione vada a sollecitare la produzione di sostanze repellenti e ad allertare insetti e animali, che diventano più fastidiosi con il comune intento di difendere la foresta”.
Il muschio, invece – prosegue a spiegare la guida – contiene spore che hanno una forte proprietà immunitaria. Stando nel bosco respiriamo queste sostanze e le facciamo entrare in circolo nel nostro corpo; mentre la resina è un fortissimo antisettico, che i montanari usavano portare con sé e masticare di tanto in tanto.

Non mastico la resina, ma ne aspiro l’odore e mi tengo ben stretto questo contatto appiccicoso. In altre circostanze avrei potuto percepire la presenza resinosa come invasione nefasta e sporcante, da eliminare, e ora invece mi rallegro di potermene sentire addosso un poco.

Guidata dalle indicazioni del nostro accompagnatore, mi metto quindi in ascolto per districare i suoni che mi avvolgono: cinguettii provenienti da alberi vicini e lontani, qualche voce umana che si percepisce a distanza, il fruscio delle fronde. Il “Bagno di foresta” prosegue con diverse attività che coinvolgono ciascuno dei nostri sensi. Dopo avere annusato e ascoltato con attenzione, insieme a ciascun partecipante vengo dotata di una cornice in cartone per isolare immagini e dettagli.

Mi concentro allora sulla superficie rugosa di una corteccia e su quelle incredibili composizioni floreal-vegetali che il bosco produce, mettendo insieme dei bouquet selvatici dentro ai vecchi tronchi recisi, che si trasformano in contenitori di abeti in miniatura, ciuffi di felci, campanelle, steli di fiori gialli, minuscole piante di nocciolo, muschio e altre piantine che neanche il più ardito compositore di bonsai o decoratore floreale avrebbe saputo accostare con tanta variegata armonia.

“È stato provato che rimanere almeno tre ore all’interno di un bosco o comunque vicino a una varietà di alberi – spiega Poletti – aumenta le nostre difese immunitarie per una settimana. Se si ripete l’esperienza una seconda volta, la copertura immunitaria viene prolungata per un mese”.
Quando Poletti ci esorta a raccogliere un oggetto da lasciare alla base degli alberi dove ci congederemo dal bosco, mi rendo conto che le tre ore di durata dell’esperienza sono volate. Annuso allora la resina che sento sulle dita e mi appresto a fare le ultime operazioni guidate, con una riflessione, un saluto e quindi il passaggio simbolico in mezzo ai due alberi accostati come i cardini di una porta da cui la guida ci ha fatto entrare nel cuore della foresta e dalla quale ora tornerò fuori.

“Anche quando sarete in città – consiglia la guida – ricordate di trascorrere del tempo vicino a un albero e se avete persone care accompagnatele lì. Portatevi magari dietro un libro e così farete scorrere con facilità il tempo che vi consente di immagazzinare tutte le sostanze tanto utili e preziose che la natura elargisce, a partire dall’ossigeno che ci regala in cambio dell’anidride carbonica che noi doniamo loro; sì, perché per le creature vegetali è un dono”.

Rifletto che dopo aver ricercato per anni luoghi che evocassero artificialmente il bosco – magari con pareti affrescate alla boschereccia, tende con canne di bambù, soffitti di nuvole, tappeti d’erba artificiale e casette fatate nello stile scenografico della Melevisione – stavolta il bosco l’ho trovato per davvero senza incorrere in pericoli né smarrendomi. Il tappeto di aghi di pino e i sedili di tronchi sono stati quanto mai accoglienti e rigeneranti, luoghi dove non ci si perde ma, anzi, ci si può ritrovare.

Un respiro profondo e via, con questo bagaglio di verde negli occhi, nelle orecchie e nei polmoni.

Per approfondimenti sull’idea dello “shirin-yoku” sulla quale si base la pratica del Bagno di Foresta si può leggere anche l’articolo pubblicato qualche tempo fa su Ferraraitalia da @simonetta.sandri.1 e consultabile cliccando questo link al nostro giornale:  www.ferraraitalia.it/calendario-dellavvento-shinrin-yoku-immergersi-nei-boschi-163277.html

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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