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di Dario Deserri

Il mondo cade in pezzi. Ieri sera (19.12.2016) attorno alle 20.00, un tir ha sventrato il mercatino natalizio di Breitscheidplatz, la piazza principale della West City. Di questo mondo, Berlino ne è la nuova, attualissima capitale, come altre in passato… un recente passato.
Era nell’aria da mesi. Solo un paio di giorni prima, la Berliner Zeitung scriveva di possibili attacchi ai mercati pubblici di Natale. La gente che vive qui lo sapeva da tempo. Il ruolo attivo del governo Merkel per i rifugiati nel trattato con la Turchia, l’appoggio della Germania in Siria già da fine 2015, erano tutti elementi che facevano pensare che la capitale tedesca, prima o poi, sarebbe stata presa di mira.

Io sono cittadino di questa città da anni, sono un europeo. Abbiamo faticato da queste parti, sudato per costruire qualcosa, per vivere dove la vita ci pareva fosse più libera. Ora qualcuno ci dice che non è così, nemmeno qui, che si sono sbagliati. Stavo tornando dopo una giornata di duro lavoro, erano le 18:30 ed ero stanco. Ho lavorato al mattino e studiato al pomeriggio. Studio da redattore, per poter scrivere, per migliorare una lingua ostica che, ogni giorno, ancora mi resiste… e mi migliora.
Passo per un mercatino di Natale a cinquecento metri da casa mia e sembra tutto tranquillo, come al solito. In giro ci sono ragazzi rumorosi, alcuni impiegati alla fine del turno fermi alle bancarelle, altri che bevono Glühwein, e poi le signore benestanti che provengono dalla Ku’Damm con le borse dello shopping, tutti a chiacchierare in mezzo alla piazza.
Mi confondo tra la folla, compro un paio di regalini e alcuni biglietti d’auguri di Natale. Cammino verso casa senza fretta e decido di mangiare qualcosa. Appena arrivato al mio appartamento, qualche centinaio di metri dopo l’Europa Center, al computer sempre accesso noto il LIVE della “Die Welt”: un attacco!
Immagini simili a quelle di Nizza dell’estate scorsa. Secondo uno studio del 2015 del Landrat cittadino, il Senato locale (Berlino è anche uno stato federale), i gruppi salafiti, più o meno identificati e tenuti sotto controllo a Berlino negli ultimi anni, sono oltre duecento. Il timore di un attentato terroristico è dunque piuttosto ragionevole. D’altro canto la città e l’intera nazione si sono fortemente polarizzate, quando non radicalizzate.
Ora attendiamo di sapere cosa sia davvero successo, le investigazioni sono tuttora in corso. L’unica cosa che appare certa è che un camionista polacco è stato ucciso, forse il proprietario del mezzo dirottato e guidato verso la tragedia. Dodici morti e cinquanta feriti innocenti che non meritavano certo di finire i loro giorni in questo modo. Anche una ragazza italiana risulta attualmente scomparsa.

Quella di ieri è una ferita (non la prima e, purtroppo, non sarà certo l’ultima) aperta nella capitale più liberale d’Europa. La capitale con una coalizione Rot-Rot-Grün, appena ratificata dal sindaco Michael Müller (SPD) in un territorio a nord-est dei nuovi Länder ex-DDR, con un impronta locale sempre più xenofoba, soprattutto in Sassonia. Berlino è stata per decenni un melting-pot pacifico e creativo, un’isola serena e un esperimento riuscito, frutto di politiche accorte e attente, nonostante l’inarrestabile avanzata delle multinazionali del lusso e della finanza un poco ovunque… sempre di più, anche qui.
Tutto questo avviene nel paese, che più ha goduto dei privilegi di questa Europa sbilenca (lo Stato molto più dei cittadini) e ben lontana da quella pensata da Konrad Adenauer o Willy Brandt, ad anni luce perfino da quella di Helmut Kohl. Ora la Merkel ne prenderà atto, e probabilmente ne pagherà le conseguenze. Come e in che modo lo capiremo nei prossimi mesi. Pagheremo tutti nel lungo periodo.

Con la politica estera degli ultimi quindici anni, i paesi occidentali avrebbero potuto creare un mondo migliore, quanto meno evitare tutto questo. Con l’ipocrisia di voler pacificare e portare democrazia nel mondo, in paesi che non conoscono nemmeno il significato della parola “Costituzione” (ma sappiamo che i motivi reali sono ben altri), siamo finiti per tornare in guerra tutti quanti. La guerra del consumismo.
Questa è una città pacifica, ma nella sua storia è stata anche altro. Nel suo dna, Berlino ha la capacità di trasformarsi, di cambiare radicalmente. Ora è polarizzata, montano gli schieramenti già da anni… i pro e i contro. Cosa sarà di questa città nessuno al momento può saperlo, ma nelle sue continue trasformazioni è presente soprattutto il codice della rinascita.

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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