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Chi è Oleg? Me lo sono chiesta qualche tempo fa leggendo in rete la notizia dell’arresto di Oleg Vorotnikov in seguito a una rissa all’ex ospizio di Santa Marta di Venezia. L’articolo diceva che l’uomo è ricercato, che rischia l’estradizione in Russia, da cui è scappato con la famiglia nel 2013, e dove il processo a cui andrebbe incontro non sarebbe clemente né imparziale. Una raccolta di firme a favore dell’attivista (alcuni nomi: Zerocalcare, Andrea Lissoni, la crew di scrittori Urban Code) riesce però a farlo rilasciare dal carcere di Santa Maria Maggiore e a scongiurare l’estradizione. Della notizia e dei suoi protagonisti non si parla in modo diffuso, ma in parte conosco già la loro storia, che è anche la storia di Voina, grazie alla visione del proiezione del documenario Tomorrow realizzato da Andrey Gryazev e proposto al festival di Internazionale nel 2012.

Collettivo russo nato nel 2007, attraverso provocatorie azioni artistiche, Voina critica l’omofobia, l’autoritarismo, la strumentalizzazione della religione a fini politici, l’ormai divenuto stato di polizia russo. Con crudezza e assenza di filtri, racconta spaccati di vita dei componenti del collettivo, tra arresti, azioni sovversive, falli disegnati sul grande ponte di Mosca, rappresentazioni estemporanee, incarcerazioni e vita familiare sempre in bilico tra sostenitori e detrattori, tra filo del rasoio e le telefonate ai parenti su Skype, tra l’ammirazione di chi li sostiene e la violenza ideologica di chi li vorrebbe zitti e assenti.

Stesso posto e stesso anno. In sala Estense, poco lontano dal cinema Boldini in cui ho assistito alla proiezione, ascolto il fumettista Igort raccontare Quaderni russi, il suo nuovo lavoro a nuvolette, che diviene anche l’occasione per parlare con il pubblico di Femen, movimento femminista ucraino le cui componenti manifestano in topless contro le discriminazioni sociali e sessiste, intenzionate a scuotere le coscienze di un Paese ancora associato, nell’ottica estera, al turismo sessuale o alla delinquenza. O, ancora, delle Pussy Riot, due delle quali – Yekaterina Samutsevich e Nadezhna Tolokonnikova – cullate nell’embrione di Voina per poi prendere la propria strada.
Sono solo alcune delle storie collegate da un comune progetto o da un comune effetto, da una stessa idea e dalla stessa forza artistica, due punti uniti da una linea di pensiero chiara e originale che viene tracciata grazie alla matita di Internazionale.

Raccontare storie e persone, cercare connessioni naturali e nascoste tra eventi, soggetti, situazioni, darne una interpretazione a più voci di fronte a un pubblico, dare voce a chi e cosa una voce spesso non ce l’ha, oppure rischia di finire perduta tra le pieghe di una informazione (tema conduttore di questa edizione che inizia venerdì), nascoste in trafiletti o nell’oblio. Storie che vale la pena ascoltare e collegare, su cui riflettere. Come quelle del medico congolese Denis Mukwege, fondatore in sud Kivu di un ospedale per le donne vittime di stupro, del regista alternativo statunitense Robert Altman e del programmatore Aaron Swartz, dalla vita tanto geniale quanto drammatica, del coraggioso fotoreporter di guerra Giles Duley e del visionario presidente della multinazionale dei sogni Pixar e Walt Disney Studios Edwin Catmull, che saranno alcune delle protagoniste di questa edizione.
E chissà quale forme assumeranno i puntini che saranno uniti tra 3, 4 e 5 ottobre.

[Vedi il video di presentazione del festival]

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Giorgia Pizzirani


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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