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“Hands: l’impronta delle mani nella nostra vita” è il titolo del primo social movie realizzato in Italia e prodotto dallo studio Kairòs di Parma [vedi]. L’idea è quella di proporre un nuovo strumento di comunicazione fondato sul crowdsourcing, in grado quindi di utilizzare la partecipazione per la produzione di messaggi: una comunità di persone partecipa, con piccoli spezzoni di video alla produzione di una storia; l’esito è un film costruito attraverso tante microimmagini che compongono un racconto. Il social movie, quindi, è una forma di creatività condivisa che valorizza le capacità espressive di molti e che lascia emergere le tracce di emozioni, impressioni, desideri, esperienze di tutti coloro che partecipano alla produzione.
Il modello ha un precedente nel celebre film di Ridley Scott del 2010 “Life in a day”, il primo social movie: un esperimento globale per la creazione del più grande lungometraggio generato dagli utenti. Il 24 luglio 2010, gli utenti della community di YouTube, hanno avuto 24 ore di tempo per immortalare uno spaccato della propria vita con una videocamera ed inviare i file al relativo canale YouTube del progetto. Successivamente Gabriele Salvatores ha raccolto e montato per l’edizione italiana i 44.197 “messaggi nella bottiglia”, i video che gli italiani hanno girato con i telecamere, cellulari e fotocamere il 26 ottobre 2013 per partecipare a “Italy in a day”.
Hands, il primo esperimento nato in Italia, riprende questa filosofia per farne uno strumento di comunicazione: numerosi appassionati hanno inviato brevi filmati, fatti con smartphone e videocamere, interpretando il tema secondo il loro punto di vista. Poi uno staff di professionisti, con la regia di Daniele Di Domenico, ha lavorato alla realizzazione dell’opera definitiva. Il progetto è stato sostenuto dal Fondo sociale europeo e ha raccolto anche l’attenzione del Tg2 [vedi].
Al di là dell’interesse per la pratica del crowdsourcing, mi piace che proprio la prima esperienza di social movie italiana abbia come soggetto le mani: un progetto che si fonda sulle nuove tecnologie declinate in chiave social assume come punto di partenza l’elogio della capacità espressiva delle mani. Con le mani scriviamo, dipingiamo, facciamo musica, coltiviamo i fiori, accarezziamo, mangiamo, entriamo in contatto con gli oggetti e con lo spazio circostante, con le mani pensiamo. La storia del pensiero umano inizia per la capacità dell’uomo di utilizzare la capacità di presa, sempre più raffinata, delle mani. La mano non è solo una protesi della mente, è ben di più. Chiunque abbia pratica di scrittura, conosce bene il meccanismo generativo del gesto sul pensiero, per cui il foglio si riempie con il contatto delle mani sulla tastiera.
Per la comunicazione d’impresa il social movie potrebbe restituire immagini più autentiche e significative di quelle diffuse dai media, intercettare sentimenti, generare empatia e consapevolezza su un uso generativo e non passivo della rete. Anche per la didattica queste esperienze sarebbero stimolanti per raffinare la capacità di osservazione e di interpretazione, per insegnare a raccontare la vita quotidiana delle persone che lavorano e vivono accanto a noi, andando oltre i significati veicolati dal senso comune e le immagini stereotipate dei video diffusi in rete.

Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi e Social Media Marketing. Studia i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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