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TERZA PARTE – Riprendono alla Casa circondariale di via Arginone i “Sabati delle famiglie”, colloqui speciali per i detenuti e i propri figli e familiari: due ore piacevoli in presenza di educatrici dei Centri per le famiglie comunali e del carcere e dei volontari Agesci. Ne abbiamo già parlato nelle scorse settimane con il responsabile del Servizio politiche familiari e integrazione scolastica del Comune di Ferrara Tullio Monini [vedi] e con il garante per i diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Ferrara Marcello Marighelli [vedi]. Abbiamo pensato ora di parlare anche con chi quelle due ore le vive con i detenuti e le loro famiglie, intervistando anche due educatrici comunali, Monica Viaro e Fulvia Guidoboni.

Come si svolgono i “Sabati delle famiglie” e quale il vostro ruolo?
I “Sabati delle famiglie” si svolgono una volta al mese in una stanza dedicata che allestiamo e disallestiamo per le attività. Laboratori e giochi vengono scelti in base all’utenza, con alcune avvertenze da parte della casa circondariale, come per esempio quella di non utilizzare certi materiali che non sono permessi in carcere. Il programma dei sabati, con i nominativi degli educatori e i materiali usati, deve essere sempre comunicato almeno due settimane prima dell’incontro.
Il nostro obiettivo è rendere la situazione più leggera possibile, far sì che le famiglie si dimentichino le sbarre almeno per un paio d’ore, azzerare le barriere. Durante l’accoglienza ci si saluta e si cerca di creare un buon clima: cerchiamo sempre di chiamare per nome sia i padri che i bambini; prima di avviare le attività, si attende il riavvicinamento tra i familiari; facciamo molta attenzione a non forzare le situazioni e a non intervenire a sproposito perché non tutti sono uguali: i bambini più piccoli saltano al collo del papà e poi corrono ai giochi, quelli più grandicelli invece amano starsene a giocare al tavolo col papà.

Galleria fotografica, la sala colloqui e il corridoio adiacente arredati per gli incontri “I sabati delle famiglie”, clicca le immagini per ingrandirle.

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Stanza dei colloqui, l’angolo della casa
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Corridoio, angolo dei giochi in movimento
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Corridoio, l’angolo della pittura
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L’angolo dei libri, a destra l’educatrice Katia Minchini
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I tavoli dei colloqui, in foto sindaco e educatrici, a destra Monica Viaro
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Personale del Servizio politiche familiari del comune di Ferrara

Quali attività proponete ai bambini e quali sono le più gettonate?
Ne proponiamo tante. In generale i più piccoli preferiscono il travaso (farine, sabbia, ecc.) e i genitori sono lieti di accompagnarli, i più grandi preferiscono i giochi da tavolo; mentre la palla va bene per ogni età. Proponiamo anche giochi a squadre, che hanno un grande successo. In estate cerchiamo di fare giochi d’acqua all’aperto perché piacciono sempre e perché l’orario dei colloqui (13.30 – 15.30) è un po’ problematico per via delle temperature. Poi ci sono occasioni come il Natale, nelle quali anche l’amministrazione carceraria fa qualche ‘strappo alle regole’ a fin di bene: l’anno scorso ci hanno permesso di portare dentro pistole con colla a caldo affinché bambini e genitori potessero realizzare insieme dei quadretti che poi i detenuti hanno potuto portarsi in cella. E’ stato un grande regalo per tutti.

I papà partecipano volentieri?
I genitori partecipano, spesso se sollecitati dai figli: “Dai papà, giochiamo anche noi?”, “Lo facciamo anche noi?”. All’inizio osservano, poi si lasciano andare.

Quanti detenuti partecipano in media?
Mediamente 7/8 detenuti ogni volta. Considerando anche che hanno tra i 2 e i 5 figli a testa accompagnati da un familiare, a ogni colloquio partecipano tra le 16 e le 20 persone.

Cosa c’è di diverso nel vostro modo di approcciarvi al genitore?
Ammettiamo che la situazione è difficile anche per noi. Bisogna stare molto attenti a ciò che si dice e come, anche solo salutare può generare disagio se si usano formule come “Ci vediamo!” o “Che piacere rivederti!”. Come abbiamo detto non tutti i materiali sono ammessi e certi giochi non sono adatti, per “Palla prigioniera” per esempio abbiamo cambiato nome al gioco.

La cosa che vi ha colpito di più?
“I sabati delle famiglie” sono vissuti come momenti speciali, i detenuti si vestono a festa, si procurano qualche dolcetto e le patatine da offrire ai figli e questi ne sono orgogliosi, a volte senti dire frasi come: “Hai visto com’è elegante il mio papà?”, “Hai visto che il mio papà ha perso la pancia?”. I bambini sono fantastici in questo, si fanno forza e vedono il lato positivo in ogni situazione. Ma la cosa che fa più effetto è l’’accaparramento’ del tavolino da parte di alcuni detenuti: appena arrivano nella stanza colloqui, la prima cosa che fanno, ancor prima di salutare, è prendersi il proprio tavolo, come a voler delimitare uno spazio per sé e la propria famiglia, come a crearsi una propria isola.

Siete soddisfatte di questa nuova esperienza?
Siamo molto soddisfatte perché le cose migliorano di volta in volta: all’inizio lavoravamo in una sala spoglia, mentre ora abbiamo i nostri spazi con arredi e giochi adeguati; prima dovevamo sempre portare con noi i materiali, ora invece tutto viene raccolto e lasciato in uno stanzino apposito che acquisisce un alto valore simbolico, come a dire: “Questo è il vostro spazio. Ci siete anche voi dei Centri per le famiglie”. Ma soprattutto, ora c’è più confidenza con i detenuti, che hanno imparato a conoscerci, con gli agenti di polizia penitenziaria e con tutto il personale carcerario: le prime volte dovevamo invitare i detenuti alle nostre proposte, spiegando a ognuno svolgimento e modalità, ora avviene in automatico perché è circolata la voce e tutti, papà e bambini sanno cosa avviene durante i Sabati. Iin questo senso, occorre sottolineare anche che, mentre le prime volte la presenza degli agenti era molto evidente (c’era un agente per ogni detenuto), ora invece la loro presenza si stempera perché ce ne sono tre o quattro in tutto e il clima è diventano più rilassato e familiare.

Avete dunque raggiunto il vostro obiettivo?
Decisamente sì.

Leggi la PRIMA e la SECONDA PARTE

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Sara Cambioli

È tecnico d’editoria. Laureata in Storia contemporanea all’Università di Bologna, dal 2002 al 2010 ha lavorato presso i Servizi educativi del Comune di Ferrara come documentalista e supporto editoriale, ha ideato e implementato siti di varia natura, redige manuali tecnici.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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