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SEGUE – La storia è lunga, complicata e costellata di polemiche. Il tratto ferrarese dell’idrovia “quattr e mez”, come l’hanno soprannominata per la retromarcia che oggi la vede maggiormente votata al turismo di nicchia piuttosto che al trasporto delle merci, finalità per cui è stata pensata, resta un punto interrogativo nello sviluppo della città e della sua provincia. Quale futuro? Quali gli intoppi e la destinazione dei finanziamenti? E ancora, il denaro, 140 milioni di euro pubblici, sono rimasti vincolati agli obiettivi dell’opera così come deve essere? Ne abbiamo parlato con Moreno Po, dirigente del settore Pianificazione territoriale, turismo, programmazione strategica e progetti speciali della Provincia dismessa.

Come è nata la scelta di fare passare l’idrovia per la città?
La decisione finale arriva dal finanziamento del ministero delle Infrastrutture e Trasporti. Il progetto risale agli anni ’70; rispetto a quello iniziale, con cui si prevedeva un canale di collegamento a est per raggiungere Ravenna (il costo preventivato inizialmente era di 4.200 miliardi di vecchie lire, ndr) è stato modificato. Il sentimento comune ha portato alla rinuncia di attraversare le valli in virtù del loro valore ambientale. Accantonato il canale, utile tra l’altro per la regimentazione idraulica, si è deciso di arrivare a Ravenna tramite Porto Garibaldi. In quell’occasione è stato siglato un accordo dall’assessore uscente alla Mobilità, logistica e trasporti Alfredo Peri con cui si sono allargate le competenze del porto di Ravenna affinché gestisse il traffico delle merci e investisse risorse su Porto Garibaldi. Esiste tuttora un tavolo di lavoro aperto. E’ però la politica a doversi concentrare sul ruolo ravennate di piattaforma logistica, fermo restando che è lecito anche cambiare idea e adattare il progetto a nuove esigenze. Mi piacerebbe che la Regione si decidesse a riflettere, valutando anche orizzonti esterni ai propri confini.

L’idrovia, come dicono in tanti, è stata declassata?
Io lavoro per la classe quinta, il progetto è sempre stato e resta questo. Per quanto riguarda le merci come ovvio si penserà a uno scalo legato alla parte industriale della città, al di là di questa considerazione, mi sento di dire che manca l’impegno di cercare nuovo denaro utile a un’opera ancora molto arretrata e sulla quale si ragiona poco e male.
I finanziamenti, arrivati dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, restano dunque vincolati alla propria natura, nulla a che vedere con il turismo; anche se, oggi, l’Europa comincia a pensare di sostenerlo, cosa finora non prevista.

Quanto è stato speso finora?
Abbiamo chiuso alcuni cantieri e utilizzato metà del denaro, restano 70 milioni da spendere tra Pontelagoscuro e il canale Boicelli, la via obbligata per la navigabilità prevista. Ora la domanda è: quale futuro si vuole per questa parte di città, come ci si approccia al fiume? In quale direzione vogliamo andare? Le questioni tecniche, come l’innalzamento di un ponte, si risolvono, resta però indispensabile la pianificazione. Si deve tenere conto di un’area industriale di 300 ettari, per questo ritengo importante avere una visione pluridirezionale e usare i fondi in base degli obiettivi precisi che ne permettano il rendimento. Guardiamo anche verso Venezia e Mantova.
E’ mai possibile che manchi un progetto? Le operazioni non decollano perché nessuno sembra crederci. Per fare un esempio torno al ruolo ravennate, al porto, alla sua capacità di movimentazione e organizzazione logistica che sono limitate. Il rafforzamento del nodo ferroviario utile a dare forza e competitività all’economia portuale è rimasto lettera morta

Le regioni interessate all’idrovia padano veneta, inclusa l’Emilia-Romagna, hanno speso cifre a più zeri (solo l’Emilia-Romagna 500 mila euro) per studi di fattibilità sulla possibile bacinizzazione del Po, cosa ne pensa la giunta provinciale uscente?
L’abbiamo sempre vista con poco entusiasmo, la navigazione non ha bisogno di bacinizzazioni, è evidente che gli effetti negativi si ripercuoterebbero sul Delta, per noi rallentare l’acqua significherebbe limitare un’effettiva risorsa, tra l’altro parliamo di acqua che compriamo e paghiamo. Non si capisce il motivo per cui l’agricoltura di Ferrara, Modena e Mantova non sia intervenuta a gamba tesa su un argomento di peso come questo.
In conclusione l’idrovia è un’incompiuta dall’anima commerciale. Il suo utilizzo in chiave turistica è praticabile e non rappresenta certamente una novità, ma appare una soluzione di ripiego che prospetta numeri di scarso interesse. Le imbarcazioni fluviomarittime non possono navigare lungo il fiume e Porto Garibaldi non è quel porto marittimo integrato a Ravenna, che avrebbe dovuto diventare, secondo le indicazioni del protocollo d’accordo siglato nel 2001 da Regione, istituzioni ravennati e ferraresi.
Ravenna, da appena qualche anno ha depennato dal proprio futuro il canale di collegamento con il Po. Per raggiungere Mantova con le imbarcazioni “importanti” entra nel grande fiume da Porto Levante, infischiandosene dell’idrovia e, conseguentemente, dei patti ufficiali presi in passato. A riprova del disimpegno romagnolo sono arrivate un paio di anni fa anche le parole dell’autorità portuale di Ravenna che, durante un pubblico incontro organizzato dalla Camera di Commercio di Ferrara, ricordò l’impossibilità della convivenza di due porti marittimi nell’arco di 30 chilometri. A soccombere, ovvio, Porto Garibaldi. Come sempre tutto e il contrario di tutto in perfetto stile italiano.
Detto questo, la domanda sul tavolo è sempre la stessa: il ministero sa o ignora (vuole ignorare) l’inconsistenza dell’idrovia di V classe? O pensa di potersi trincerare dietro il classico “work in progress”?

3. FINE

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Monica Forti


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