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Un’inchiesta in cinque tappe per approfondire le ragioni delle critiche nei confronti della Società italiana autori ed editori.

2. SEGUE Nella prima parte del nostro viaggio Sara “Dagger Moth” Ardizzoni ha illustrato le ragioni che l’hanno indotta a cancellarsi dagli elenchi della Siae. Oggi parla Andrea Caovini, musicista e attivista per la tutela della musica originale.

Di cosa ti occupi e quali sono le ragioni delle tue critiche alla Siae?
Come occupazione principale faccio il musicista e l’organizzatore di eventi di promozione per la musica originale, non sono iscritto Siae ed il dissenso nasce proprio dall’ingerenza della Siae nei riguardi dei miei eventi personali, con richieste secondo me indebite.

Qual è la tua posizione nei confronti della Siae e del diritto d’autore?
La Siae ed il diritto d’autore sono spesso trattati come argomenti complementari, ma non lo sono. Il diritto d’autore nasce con la creazione di un’opera, non con l’iscrizione della stessa alla Siae. La Siae ha il compito principale di raccogliere e ridividere i proventi derivanti dall’utilizzo di opere, se ciò non serve perché il giro d’affari è tale da essere curato direttamente dall’autore la Siae è oltre che inutile dannosa e rappresenta un costo al posto di un ricavo…

Secondo te come dovrebbe essere regolamentato il diritto d’autore?
L’autore deve avere piena disponibilità del suo diritto, quindi deve essere libero di gestirlo secondo sua coscienza, regalarlo quando vuole e lo reputa giusto, farselo pagare caro quando caro quando lo ritiene opportuno, quindi il mandato a Siae deve poter essere adattato all’uso.
Ancor meglio sarebbe se il diritto fosse gestito in un mercato di libera concorrenza. Faccio un esempio: in un evento in beneficenza vogliono usare una mia canzone come sigla, la regalo. La vuole la Bmw per una pubblicità, voglio un milione di euro. Mi piace l’operato della Siae in merito ai diritti televisivi ma non in merito agli eventi di musica live, vorrei poter dare loro mandato solo per ciò che apprezzo del loro agire.

Al momento si possono fare scelte selettive come tu auspichi?
Sì, si può sia limitare il mandato alla Siae, escludendo ad esempio i live dai loro compiti di riscossione, sia iscriversi ad una collecting estera: costano meno, a volte hanno iscrizioni una tantum e non annuali e soprattutto sono obbligate da statuto a reinvestire nella musica parte dei proventi in diversi casi. Il problema rimane in parte in quanto in Italia anche se io sono iscritto alla società francese o spagnola è sempre la Siae ad occuparsi della riscossione con delega da parte delle società estere, quindi, vuoi o non vuoi, parte dei miei soldi le passerebbero comunque per le mani.

Periodicamente ritorna in circolazione la notizia secondo la quale il monopolio della Siae sarebbe finito, è vero?
Il monopolio della Siae non può finire se non cambia la legge 633 del 1941 che glielo concede. Al tempo stesso nessuno vieta ad un cittadino dell’Unione Europea di utilizzare i servizi di uno qualsiasi degli stati membri, quindi a tutti gli effetti il monopolio non esiste più.
Quella notizia che dal 2012 ci passeggia intorno cambia o cambierebbe di poco lo stato delle cose. Fermo restando che la revisione di una legge del 1941 di stampo fascista e che detta un monopolio è necessaria quanto è anacronistico il suo contenuto.

2. CONTINUA [leggi la terza puntata]

 

Articolo sotto licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0.

Nella foto di Werner Swan, il musicista Andrea Caovini

Precedente articolo dell’inchiesta:
Dagger Moth, un’artista ferrarese che ha revocato l’iscrizione alla Siae

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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