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Un’inchiesta in cinque tappe per approfondire le ragioni delle critiche nei confronti della Società italiana autori ed editori.

4.SEGUE – Sentite nie giorni precedenti le obiezioni mosse alla Siae, abbiamo interpellato Adriano Bonforti, creatore di Patamu, un sito dove depositare le opere d’arte e di ingegno.

Quando e come mai hai creato la piattaforma di Patamu?
Patamu è nata da un’esigenza personale che poi si è trasformata in un progetto per la collettività utilizzabile da tutti. Ho iniziato a comporre le mie prime musiche quando avevo 14 anni.
Pochi anni dopo mi proposero di comporre le musiche per uno spettacolo teatrale, e in quell’occasione mi iscrissi in Siae, perché sia io che io produttori dello spettacolo lo percepivamo come un passaggio obbligato e necessario.
Una volta entrato mi sono reso rapidamente conto che a fronte di un costo economico per me rilevante e di forti limitazioni alla mia creatività ed alla mia libertà di diffondere le mie opere, la Siae mi avrebbe dato molto poco in cambio. Posso dunque dire che l’esperienza come iscritto Siae però è stata per me fortemente negativa. Quando mi è stato addirittura chiesto di pagare per mettere online la mia musica (la cosiddetta auto-promozione) ho deciso di disiscrivermi.
Sono tornato libero solo dopo varie vicissitudini burocratiche che sono durate per ben tre anni, durante i quali non ho potuto usufruire liberamente della mia musica. Così ho deciso di costruire in autonomia una soluzione che fosse adatta alle mie necessità, creando un sistema più snello e istantaneo per tutelare le opere attraverso il metodo delle marcature temporali on line, la cui validità è riconosciuta legalmente. Sapevo programmare, avevo il progetto chiarissimo nella mia mente, e con alcuni collaboratori abbiamo creato una prima bozza di quello che sarebbe poi diventato Patamu.
Patamu oggi è una start up riconosciuta come innovativa ed a vocazione sociale dallo Stato italiano, e ha vinto due premi all’innovazione sociale.

Come funziona? In cosa differisce dalla Siae? E’ legale e offre gli stessi servizi?
Patamu è nata come piattaforma per tutelare dal plagio le proprie opere con valore legale, in un modo semplice, efficace ed immediato, e poter poi scegliere con che licenze di utilizzo diffonderle (copyright o Creative Commons). Nel tempo è diventato anche un luogo attraverso il quale informare ed offrire consulenza legale agli artisti ed ai creativi in generale sulle tematiche del diritto d’autore.
Un’importante differenza dalla Siae è l’assenza di vincoli: un artista che depositi il proprio pezzo in Patamu può decidere liberamente di depositarlo in altri luoghi, o di disiscriversi da Patamu istantaneamente, di rilasciare l’opera con le licenze che preferisce. Anche sui costi dei servizi di Patamu non ci sono vincoli: ad esempio per il servizio Basic proponiamo di sostenerci con 10 euro l’anno (che secondo noi è un prezzo molto buono per quello che offriamo) tuttavia è l’autore a scegliere se sostenerci con questa cifra, con una maggiore, od anche senza versare alcun contributo.
Attualmente abbiamo anche vari progetti pilota in cantiere che ci permetteranno di seguire le necessità degli artisti a 360 gradi. Negli anni di attività e crescita di Patamu abbiamo infatti accumulato un importante know how sul territorio italiano, e pensiamo di avere delle ricette importanti per aiutare la diffusione della cultura in Italia, in modo etico e trasparente.
Tuttavia, per arrivare a questo, è necessario passare per l’abolizione del monopolio Siae.
Esiste infatti una legge, promulgata sotto il fascismo, che sancisce il monopolio della Siae sulla riscossione dei compensi sui diritti d’autore (le cosiddette royalties). Tra l’altro, questa legge vale solo per imprese stabilite in Italia, per cui si crea una situazione doppiamente paradossale: lo Stato italiano riconosce l’innovatività e la vocazione sociale di imprese come Patamu, ma impedisce loro di operare pienamente sul territorio italiano facendo concorrenza alla Siae, cosa che invece a realtà estere è permessa. Con un doppio danno per il nostro Paese, sia perché il know how non viene dal territorio ma dall’estero, sia perché i capitali si spostano all’estero. Chi resta in Italia non viene né incoraggiato, né premiato.

Quali sono i vostri numeri?
Ad oggi, solo attraverso il passaparola, più di 3000 utenti hanno depositato quasi 8 mila opere nel nostro sito, stiamo parlando di 1/30 degli iscritti alla Siae. Cerchiamo di fare anche informazione attiva grazie al nostro blog di approfondimento sulle tematiche del diritto d’autore, che ha avuto picchi di 30 mila utenti reali al giorno. Il 60% delle opere sono musicali, il 20% letterarie, il resto sono video, foto ed altre creazioni.

Hai avuto problemi di qualche genere essendo diventato una sorta di concorrente della Siae?
Ci sono state situazioni di velata intimidazione o tentativi di minimizzare il nostro progetto pubblicamente come qualcosa di inutile.
In occasione della nostra recente petizione lanciata su change.org per abolire il monopolio Siae alcune voci hanno sostenuto che il monopolio Siae sarebbe un monopolio naturale, e che anche togliendo il vincolo legale resterebbe operativa solo la Siae perché è questo che gli artisti vogliono.
In realtà in Siae più del 60% degli iscritti, pur portando alla Siae enormi guadagni, non rientra neanche delle spese di iscrizione. Questa fascia di artisti auspica un cambiamento o cerca un’alternativa. Per questo abbiamo lanciato un’importante petizione per abolire il monopolio Siae su change.org (change.org/aboliamomonopolioSIAE).
Penso che abolendo il monopolio emergerebbero realtà molto più efficienti e vicine agli artisti, e che la stessa Siae sarebbe costretta a migliorarsi ed a diventare più trasparente, con un beneficio immenso per la creatività e la cultura in Italia.
Detto in altre parole, se la Siae è in buona fede e lavora davvero al servizio degli artisti, dovrebbe essere la prima a volere l’abolizione del monopolio, nell’interesse dei suoi iscritti. Il fatto che non ci sia questa volontà mi dà da pensare.

Patamu è la prima esperienza di questo genere in Italia?
Ci sono altre esperienze precedenti alla nostra, anche molto importanti per lo sviluppo della consapevolezza e dell’indipendenza degli autori, con alcuni punti in comune con Patamu.
Credo che però siamo stati i primi in Italia a garantire una tutela dal plagio non posticipata ma istantanea, con un deposito informatico a lungo termine dell’opera ed una formula a donazione libera che permette, in caso di necessità, di tutelare un’opera anche a costo zero.

Al di là del vostro sito, avete realizzato anche iniziative?
Ci sono molte iniziative sul territorio organizzate da e con Patamu, o con artisti iscritti a Patamu. Per fare un esempio, in passato abbiamo organizzato i Copyleft Days al Teatro Valle Occupato, con la collaborazione dell’associazione Melting Pro e dell’etichetta Subcava Sonora. A breve parteciperemo al festival delle culture di Napoli. Recentemente il Teatro Olimpico di Roma, per intrattenere il pubblico prima di un concerto, ha trasmesso le musiche dei nostri artisti, mostrando i loro video.
Oppure a Cyberia, un evento sull’open source che si è tenuto a Torino, hanno suonato nostri gruppi che si sono auto-riscossi il diritto d’autore senza passare per la Siae. Questa è una cosa che forse gli artisti non sanno di poter fare, sostituirsi alla Siae riscuotendo direttamente i diritti d’autore oltre al cachet, in piena legalità.
Essere liberi da Siae, per come agisce attualmente la società, sarebbe un vantaggio per tutto il sistema. Faccio un esempio: in occasione di eventi di beneficenza od iniziative senza scopo di lucro, gli artisti possono rinunciare al loro cachet in favore della causa, ma paradossalmente la Siae non permette loro di rinunciare alla riscossione delle royalties (in piena contraddizione con la direttiva europea del febbraio 2014), rendendo più difficile e costosa l’organizzazione di questi eventi.
Se finisse il monopolio della Siae in Italia, potrebbero nascere tante piccole aziende come la nostra che creerebbero molto lavoro per tanti imprenditori ed artisti.
Al momento, siccome fare concorrenza alla Siae sul fronte della riscossione delle royalties è illegale per una start up italiana, noi sopravviviamo solo perché crediamo nel valore etico di quello che facciamo e crediamo fortemente che la nostra presenza possa portare a dei cambiamenti nel sistema culturale italiano. Diversamente, se ci fossimo dovuti basare solo sul ritorno economico, avremmo già chiuso.

Ma quindi tu per vivere cosa fai?
In effetti ho una doppia vita: in Italia sono il fondatore & Ceo di Patamu, che gestisco assieme ad un magnifico team di 10 persone. Allo stesso tempo vivo in Spagna, dove sono ricercatore di Sistemi Complessi e Biomedicina.

4. CONTINUA [leggi la quinta puntata]

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Precedenti articoli dell’inchiesta:

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Stefania Andreotti

Giornalista e videomaker, laureata in Tecnologia della comunicazione multimediale ed audiovisiva. Ha collaborato con quotidiani, riviste, siti web, tv, festival e centri di formazione. Innamorata della sua terra e curiosa del mondo, ama scoprire l’universale nel locale e il locale nell’universo. E’ una grande tifosa della Spal e delle parole che esistono solo in ferrarese, come ‘usta’, la sua preferita.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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