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Negli ultimi tempi si moltiplicano sui quotidiani interviste, recensioni di libri di letteratura o saggistica, segnalazioni di conferenze o mostre di studiosi e intellettuali che hanno spesso superato gli 80 anni, a cui si rivolgono domande che riguardano gli ambiti disciplinari in cui questi hanno speso la vita e che talvolta vanno oltre per toccare bilanci di vita. Le storie raccontano le più varie esperienze esistenziali di personaggi che hanno lasciato un segno per una lunga parte del Novecento: filosofi, scrittori, artisti, musicisti, politici.

Cito tre esempi tratti dai quotidiani di un solo giorno (8 gennaio 2017): un’intervista al filosofo Remo Bodei – il più giovane tra gli autorevoli personaggi citati – che delinea con il consueto spessore i nodi salienti del tempo presente e rappresenta una voce imprescindibile per comprenderlo. Poi una recensione all’ultima raccolta di poesie di Franco Loi, che sta per compiere 87 anni: “Voci di un vecchio cantare”. Non da ultimo, la presentazione della mostra di Gillo Dorfles, un intellettuale eclettico e ormai ultracentenario, che ha lasciato un segno del suo genio multiforme in molti campi: dall’arte alla saggistica, all’architettura e che inaugura una nuova mostra alla Triennale di Milano intitolata Vitriol. Sono solo esempi di molti personaggi anziani che illuminano il nostro presente e che ricevono una giustificata attenzione da parte della stampa, a contrasto con l’insipiente slogan della rottamazione.

Cosa accomuna queste interviste e le tante altre che ci hanno offerto acute riflessioni sulle sfide e sui nodi interpretativi del nostro tempo? Direi uno sguardo che viene da lontano e che per questo riesce ad operare un confronto tra il tempo di oggi e quello passato. L’interesse di queste straordinarie testimonianze di protagonisti in ambiti tanto diversi tra loro travalica persino la qualità dei singoli contributi. Le loro parole ci suonano come nutrienti e importanti per comprendere il presente.

Molte ragioni spiegano il fascino di queste sintesi di vita, oltre alla qualità dei personaggi. La prima è il confronto tra il presente e il passato: un confronto talvolta segnato dalla nostalgia, altre dal disincanto, altre ancora dalla speranza e da un’energia non alterata dagli anni, da un desiderio di conoscenza non placato dallo straordinario cambiamento della prospettiva, persino talvolta, da condizioni fisiche divenute precarie.

Ma perché è così forte il fascino di una prospettiva di lungo periodo in un tempo che sembra procedere ad una crescente velocità, in cui le tecnologie cambiano in modo così radicale lo sfondo della nostra esistenza, in cui i linguaggi sembrano divaricarsi? Da un lato pratichiamo un linguaggio riflessivo, analitico, lento e argomentato, attento ai rischi della retorica, dall’altro siamo immersi in un linguaggio quotidiano intriso di slogan e di semplificazioni.
In quelle testimonianze percepiamo autenticità, spessore e coerenza; siamo affascinati da un “senso del filo dell’esistenza” che pare impossibile rinvenire in una vita immersa solo nel presente e che smarrisce tanto il senso della storia come quello del futuro.

Credo che vi sia una ragione ancora più profonda: solo l’unità biografica consente oggi di ricostruire una capacità interpretativa di tempi – passato, presente, futuro – che ci appaiono così tanto divaricati. In un tempo in cui l’esperienza (individuale e collettiva) non rappresenta più la base di alcuna possibile previsione del futuro, in cui ci sentiamo immersi in un presente veloce, la singola unità biografica diventa una supplenza – l’unica possibile forse – alla carenza di categorie interpretative, offrendoci spunti di riflessioni su un passaggio d’epoca il cui senso ci sfugge per lo più.

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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