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Sarà perché è il primo giorno di ferie, sarà perché rientro nella mia città per qualche giorno, prima di partire per la montagna, sarà perché ho l’animo sereno e predisposto a vedere la bellezza, sarà perché sono abituata al caos e alla fretta delle metropoli europee, ma questa mattina ho apprezzato un bel gesto. Autobus numero 9854, linea 9A che porta dal vecchio ospedale alla stazione. E’ il 10 di luglio, sono le nove di mattina, fa un pochino più fresco dei giorni scorsi e una signora in carrozzina accompagnata da una ragazza giovane se ne sta nello spazio dedicato ai disabili. Ha in testa un cappello di paglia a falda molto larga, blu e bianco, sembra una figura affascinante ed elegante d’altri tempi, quasi anni trenta. Ha l’aria gentile, ben vestita, qualche bel braccialetto, una borsa colorata, un giornale in mano. Chiacchiera serenamente con la sua accompagnatrice, lo spazio le è stato lasciato senza problemi, il bus è quasi vuoto e si respira un’aria di cittadina tranquilla e ben educata.
A differenza del disinteresse riscontrato ieri in un istituto bancario di questa stessa cittadina, che mi aveva un po’ irritato, stamattina si respira gentilezza e armonia. Il conducente, un giovane con i capelli corti curati e gli occhiali da sole, ferma il mezzo alla fermata di corso Giovecca e scende con pacatezza ed educazione. Straccetto alla mano per non sporcarsi, dopo aver abbassato adeguatamente il molleggiato autobus, tira giù la pedana per far scendere la carrozzina, che quasi volando plana sul marciapiedi. Un sorriso, un saluto, la signora che scende normalmente, a suo agio, e si riparte. Un gesto, direbbe qualcuno, normale, dovuto, parte del mestiere. E invece, dico io, quel gesto, che dovrebbe essere normale, oggi, ancora troppo spesso, stupisce. Scene analoghe le ho viste nella periferia milanese, salvo che nella grande ed educata capitale economica italiana, il conducente spesso sbuffa innervosito di fronte a quel compito considerato gravosamente aggiuntivo.
Se quindi una gentilezza va riconosciuta e apprezzata, facciamolo, ricordiamolo con forza; e grazie a questo giovane conducente ferrarese, perché ricorda come ancora la cordialità e la benevolenza verso l’altro spesso siano di casa nella piccole città, perché rende la giornata normale a quella gentile signora in carrozzina. Come deve essere, come è giusto che sia.

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Cara Simonetta, ogni atto compiuto con gentilezza è sempre apprezzabile e come tale va rimarcato, specie in un contesto di diffusa indifferenza. Però non dimentichiamoci che qui siamo sul terreno dei diritti, che vanno tutelati e rispettati a prescindere dall’umore e dalla capigliatura dei protagonisti…
Quanto al parallelo con la vicenda Carife, a me purtroppo non è sufficiente la bella immagine che riporti per riuscire a placare l’indignazione. (s.g.)

 

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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