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Ridurre gli sprechi. Con questo presupposto il governo ha annunciato un provvedimento finalizzato a contenere la prescrizione di prestazioni diagnostiche da parte dei medici di base. Sono state individuate oltre duecento tipologie di esami ai quali si farebbe ricorso con leggerezza. Il costo complessivo sostenuto dal sistema sanitario nazionale è di 13 miliardi. Abbiamo chiesto al dottor Giancarlo Rasconi, medico di base che ha cessato di recente l’attività ambulatoriale ma che prosegue in forme di volontariato il proprio impegno di assistenza e cura dei malati, una valutazione sul senso e gli effetti di questa controversa disposizione.
“Al momento non c’è piena chiarezza su quali saranno gli esami sui cui si vigilerà: si legge di 208 prestazioni, ma non le indicazioni sono controverse. Inoltre non è bene chiaro attraverso quali strumenti sanzionatori si indurranno i medici al rispetto della normativa. Ma lasciamo stare, non voglio menare il can per l’aia.
Diciamo allora che è vero che c’è un eccesso di prestazioni: in particolare risonanze magnetiche e tac vengono prescritte spesso senza necessità, specie per gli anziani. Lo si evince dal confronto con altri Paesi e dagli esiti di quegli esami”.

Perché si ricorre allora con disinvoltura a queste prestazioni?
Perché è comodo e rassicurante per tutti. Perché la medicina di base non è adeguatamente sostenuta da un corretto rapporto con la specialistica e anzi sono spesso gli specialisti che inducono il ricorso alla diagnostica oltre necessità. Facendo fare l’esame al paziente ci si lava la coscienza. Alla fine si deve concludere che mancano i buoni maestri, quelli capaci di testimoniare con il loro impegno e il loro esempio le buone prassi.

giancarlo-rasconiQuindi è sostanzialmente d’accordo con l’iniziativa del governo?
La lotta agli sprechi è sacrosanta. In questo senso è fin troppo facile essere d’accordo. Segnalo comunque che l’Italia è fra i Paesi europei che impegnano una delle quote più basse del Pil nella spesa sanitaria. Questo non significa che si debba spendere di più, si può semplicemente cercare di spendere meglio indirizzando diversamente le risorse. Però…

Però?
Non voglio cadere nel “benaltrismo”. Però è vero – e si può dire – che gli sprechi sono (anche) ben altri: questi signori che individuano ora la necessità di ridurre le prestazioni sono poi gli stessi che progettano gli ospedali di Cona e del Delta, con i costi che conosciamo e le incongruenze che abbiamo riscontrato, a tutti i livelli… Sono gli stessi che tagliano i posti letto nella sanità pubblica con la conseguenza, per esempio, che in una città come Ferrara in questi anni sono raddoppiati quelli nella sanità privata…

Intravvede quindi un disegno politico a latere di questo provvedimento?
Fermo restando quanto detto sulla doverosa opera di razionalizzazione, sì, ravviso anche un obiettivo di fondo di natura politica. In filigrana, leggo dietro questi e altri interventi la volontà di riplasmare il sistema secondo un modello conforme a quello americano, con una sanità privata di eccellenza, rapida ed efficiente a vantaggio esclusivo di chi può permettersela; e un sistema sanitario pubblica che eroga prestazioni di base, di qualità media o mediocre, nei modi e in tempi non sempre adeguati alle reali necessità. Quindi vedo all’orizzonte un’ulteriore lesione dei diritti di cittadinanza, perché quando parliamo di salute parliamo di un bene fondamentale che deve essere garantito a tutti.

Tornando alla ‘ratio’ dello specifico provvedimento di cui si discute in questi giorni, in quali altri ambiti della spesa sanitaria a suo giudizio segnalano sprechi?
Certamente in quello farmaceutico. Ma non tanto a carico del servizio sanitario nazionale quanto a scapito delle tasche del cittadino. C’è un insensato abuso d farmaci, specie dei cosiddetti integratori, la cui efficacia peraltro è tutta da comprovare. Ma è tutto il sistema che non è in equilibrio perché, come dicevo in precedenza, il medico non ha avuto buoni maestri che lo abbiano educato a compiere valutazioni adeguate. E in assenza di una buona scuola difficilmente le Asl possono pretendere una elevate sensibilità dal medico curante se quello della medicina generale è solo lo specchio di un modus operandi in cui il vizio per primo si riscontra fra gli specialisti. D’altronde è facile prescrivere il farmaco o l’esame al paziente, mentre è complesso spiegargli che non ne ha bisogno.

Chi subirà il contraccolpo di questa scelta?
Come sempre le persone più fragili ed esposte, quelle che non hanno risorse. In un sistema equilibrato le cose funzionano, in un sistema come il nostro bisogna ricorrere a soluzioni esterne, che nello specifico si chiamano sanità privata. Faccio un esempio per capirci. C’è un’estrema lentezza nel meccanismo, fra prescrizioni ed esami passa molto tempo. Questo anche quando parliamo di patologie gravi come quelle tumorali. Riporto l’esempio di una mia paziente. La signora aveva un nodulo al seno da asportare. Secondo il prontuario regionale l’intervento va effettuato entro 30 giorni dal momento in cui è stato diagnosticato. Ma nella struttura pubblica le liste di attesa erano lunghissime. Così è dovuta ricorrere a una prestazione privata… erogata dal medesimo ospedale pubblico! Per ottenerla – però – ha pagato 2.562 euro. Un paradosso reso possibile dalla cosiddetta pratica ‘intramoenia’, cioè la possibilità riconosciuta ai medici del servizio pubblico di operare privatamente negli ospedali statali: capita così, come in questo caso, che il chirurgo e l’equipe medica per i quali non c’era disponibilità immediata nelle liste del servizio sanitario nazionale ti operino subito a pagamento. Un fatto ingiusto e immorale. Sono quelle che definisco le tangenti legali della sanità…

Il sistema ‘intramoenia’ fu introdotto una ventina d’anni fa per evitare la fuga delle eccellenze mediche dalla sanità pubblica. Qual è la soluzione a suo giudizio?
Non si può tenere insieme tutto. La sanità pubblica deve essere gratuita ed efficiente. Il medico che sposa questa causa e decide quindi di lavorare negli ospedali pubblici deve essere supportato in tutto nel migliore dei modi, a livello di strutture e attrezzature. E non è scontato ora, visto che talvolta mancano persino le garze… Chi ha aspettative diverse andrà nel privato. La commistione non è opportuna.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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