Skip to main content

Il “potere” è l’immondizia della storia degli umani
 e, anche se siamo soltanto due romantici rottami,
sputeremo il cuore in faccia all’ingiustizia giorno e notte:
 siamo i “Grandi della Mancha”,
Sancho Panza… e Don Chisciotte! (Don Chisciotte, Francesco Guccini)
Sono fortunata, è un pomeriggio tranquillo nell’ufficio di via Mambro, da dove Raffaele Rinaldi coordina i servizi dell’Associazione Viale K, con cui collabora dal 2002 e di cui è direttore dal 2012. Raffaele ha tempo per quella che diventerà una lunga chiaccherata ed è di buon umore perché in mattinata sono passate a salutarlo alcune persone che sono state al centro di accoglienza e ora, passo dopo passo, stanno riemergendo da quella che lui chiama la “Ferrara di sotto, una Ferrara che non vede nessuno”.
Inizia così la nostra conversazione, e subito mi rendo conto che Raffaele nutre una passione profonda per ciò che fa, a differenza di molti ha trovato non un modo ma il suo modo di contribuire alla costruzione di una società fondata sulla persona: “Il fondamento di tutto è la persona, ognuno nel suo lavoro è chiamato a umanizzare il mondo”. Per questo la prima cosa di cui mi parla è proprio il suo lavoro: “E’ vedere i numeri, le statistiche diventare carne e ossa, uomini, donne, famiglie, giovani coppie, la faccia scavata dall’angoscia di cadere in uno stato di povertà, oppure di non riuscire più a risalire la china. Vedo volti, ascolto storie, biografie, non c’è spazio per l’omologazione. Il problema si pone dopo aver dato loro un pasto caldo e un posto dove dormire, cosa faccio ora? Bisogna lavorare sulla promozione della persona, ma prima la devi riconoscere come persona: non c’è la categoria degli immigrati, quella dei poveri, devi saper guardare in faccia le persone per accorgerti veramente della profondità del disagio”.

raffaele-rinaldi
Raffaele Rinaldi direttore dell’associazione Viale K

La sua collaborazione con l’associazione di don Bedin è cominciata quando ha raggiunto la sua famiglia a Ferrara dalla Puglia, più precisamente da Monte Sant’Angelo. Chiuso lo stabilimento petrolchimico di Manfredonia, il papà fra Milano, Marghera, Gela e Ferrara – queste le possibili mete messe a disposizione dall’azienda – sceglie quest’ultima perché “è una città a misura d’uomo e l’Emilia è una regione accogliente”. Raffaele si paga la specialistica di filosofia con un lavoro stagionale allo zuccherificio, con la speranza di diventare insegnante. Nel frattempo continua l’esperienza di volontariato che ha già iniziato in Puglia. “Quando hai deciso che questo sarebbe stato il tuo lavoro?”, gli chiedo. “Quando il responsabile è stato trasferito nella nuova struttura di Sabbioncello don Domenico mi ha accennato alla possibilità di prendere il suo posto. Devo essere sincero, prendermi la responsabilità di coordinare le strutture, mettermi in contatto con le istituzioni, con i servizi sociali, non mi sembrava ancora alla mia portata. Poi la cosa ha preso piede e mi ha appassionato, soprattutto quando mi sono reso conto che non è solo questione di assistenza, si tratta di costruire dei percorsi per fare in modo che, insieme o dopo l’accoglienza, si possano dare ai ragazzi gli strumenti per riuscire a venire fuori dalle situazioni di bisogno. E questo lo puoi fare solo insieme alle istituzioni”. La cosa più stimolante per Raffaele sembra essere “rispondere ai bisogni che di volta in volta arrivano dal territorio articolando la prassi della solidarietà: noi rispondiamo al bisogno della persona, non alla categoria”.
Tante le fonti da cui trae l’ispirazione per questo suo impegno quotidiano: il personalismo comunitario di Mounier, per cui esistono una trascendenza verticale e una “trascendenza orizzontale”; Dante, che non reputa gli ignavi degni neppure dell’Inferno, “sciaurati, che mai fuon vivi”; Gramsci, per il quale “chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano”. E poi l’articolo 3 della Costituzione, che al comma 2 recita “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica”. “La lotta alla povertà – chiosa Raffaele – non può essere lasciata al buon cuore delle anime belle, bisogna restituire libertà alle persone escluse, dando loro dignità, ognuno deve potersi esprimere e partecipare alla vita della comunità: se io non ho diritti, come posso partecipare?”. Infine il Vangelo, in particolare la parabola del buon samaritano: “la domanda – mi spiega Raffaele – non è chi è il mio prossimo, ma a chi tu ti fai prossimo: non è tanto avvicinarsi a chi ti è lontano, ma non allontanarti da chi ti è vicino, chinarti su quei volti, e accompagnarli in un percorso di vita”.
Ora, gli dico scherzando, passiamo alle domande difficili: cos’è per te la povertà oggi? “È non saper riconoscere la povertà come tale, ma soltanto come disordine dell’arredo urbano. Non c’è più la persona: nell’odierna cultura dello scarto se lavori e produci bene, altrimenti non sei niente, anzi devi toglierti dai piedi perché dai fastidio. Danno fastidio i senza fissa dimora che dormono sulle panchine, ma non per la loro situazione, perché sono brutti da vedere. Viviamo in una bolla di sapone, bella ma effimera, abbiamo perso l’esperienza della relazione. Come diceva don Tonino Bello, la povertà è il sacramento delle nostre miserie, cioè non la vogliamo vedere perché rimanda alla miseria che abbiamo dentro”. Per non parlare poi della strumentalizzazione della povertà: “La cultura dello scarto, come la chiama Bauman, produce una rappresentazione sociale dei poveri, degli immigrati fondata sulla paura per raccogliere consensi e distrarre dai veri problemi come il lavoro o la giustizia sociale”.
Le ultime domande sono per la sua esperienza politica come candidato di Sel, a maggio scorso alle amministrative e ora alle regionali. “Ho sentito parlare Nichi Vendola negli anni ’80 quando non ero ancora maggiorenne e il progetto di Sel mi è piaciuto in quanto marca molto sul discorso della giustizia sociale, un’alternativa per la costruzione di un welfare forte, ma fino a quando mi hanno chiesto di candidarmi sono rimasto solo un simpatizzante”. “Il mio lavoro ha già una sua forte dimensione politica, quello che vorrei fare è dare un contributo per ottenere il passaggio dalla carità alla giustizia, non più dare qualcosa per carità quando spetterebbe per giustizia. Vorrei che questa fetta di popolazione di cui mi occupo avesse una voce nelle istituzioni, perché il terzo settore può dare un grande contributo alla costruzione di una società più giusta, anzi lo sta già facendo”.

don-Chisciotte-Dalì
Il Don Chisciotte di Salvador Dalì

Secondo Raffaele il punto da cui partire è il passaggio dall’assistenza al “welfare generativo” cioè “l’assistenza non come un costo, ma come un investimento sulle persone che poi con le loro capacità e per quello che sono in grado di fare a loro volta fanno qualcosa per gli altri, restituiscono l’aiuto offerto loro. Ad esempio attraverso micro-comunità che possano avere una funzione di incubatori, moltiplicatori, delle capacità e della solidarietà”. Ma Raffaele non è solo un utopista, un idealista alla Don Chisciotte, personaggio che pure ama molto, in lui c’è anche un sano realismo alla Sancho Panza, che sicuramente gli deriva dal suo lavoro. Quando parla della “macchina della politica” afferma, citando don Milani, che “è inutile avere le mani pulite se le tieni in tasca”, e aggiunge “in politica devi operare delle scelte difficili, si fa presto ad andare fuori in piazza, il difficile poi è cambiare le cose da dentro il sistema: le scelte, gli sbagli, le alleanze, però stai dentro il gioco della politica e non ti puoi sottrarre”. Insomma “le impennate utopiche” vanno bene, ma poi si ha a che fare con la sofferenza reale qui e ora: “I bei sogni senza politica rimangono miraggi, e la politica senza sogni è solo amministrazione. La politica, pur se difficile e deludente a volte, rimane l’unica strada per realizzare quei progetti a servizio dell’uomo”.

tag:

Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it