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Giurisprudenza bella e impossibile ha perso in questi ultimi anni quella sua patina di inaccessibilità che induceva molti studenti a iscriversi o a emigrare a Bologna. Merito anche di un appassionato nucleo di docenti che hanno reso meno austera e severa la facoltà e più permeabile al rapporto con la città. “E’ vero – riconosce Paolo Veronesi, professore associato di Diritto costituzionale – C’è una maggiore apertura nei confronti della comunità e sono stati introdotti percorsi di alta specializzazione che offrono nuove prospettive professionali, al di là degli sbocchi classici nell’avvocatura, nella magistratura e nel notariato. Vi sono corsi svolti in lingua inglese, rapporti di partenariato con Università straniere come Strasburgo e Granada (con percorsi che consentono il conseguimento del “doppio titolo”) e una particolare attenzione alle opportunità offerte dalle borse Erasmus. Inoltre è stata attivato il dottorato di ricerca in “Diritto dell’Unione europea e ordinamenti nazionali” che, tra l’altro, è frequentato anche da laureati stranieri”.
Di questo nuovo impulso sono in qualche modo artefici in prima linea i costituzionalisti della facoltà (oltre allo stesso Veronesi, Andrea Pugiotto, Giuditta Brunelli e Roberto Bin). Significativi sono anche i ruoli apicali ricoperti da alcuni ordinari della facoltà nell’ambito del governo di ateneo che proprio al vertice ha un giurista, il rettore Pasquale Nappi, e fra i prorettori il dinamico Alessandro Somma. Gli studenti apprezzano e la piccola emorragia di qualche anno fa è oggi completamente riassorbita.

Particolare visibilità esterna e notevoli consensi, anche in termini di pubblico, hanno ricevuto i cinque incontri del ciclo “Passato prossimo” che si sono svolti fra novembre e dicembre alla libreria Ibs. “E’ stato un bel momento di confronto fra esperti di varia provenienza, storici, intellettuali e città – commenta Veronesi –. Stiamo lavorando per cercare di riproporre questo format anche per il prossimo autunno. Non c’è ancora nulla di certo se non la volontà di proseguire su questa strada, mantenendo una formula che è risultata vincente. Ma già in precedenza c’erano state altre iniziative di successo, in quel caso su temi attinenti alla realtà carceraria: i materiali sono stati raccolti in due volumi pubblicati dalla casa editrice Ediesse. Però ritengo sia stato importante il cambio di paradigma: avere affrontato snodi e momenti fondamentali della vita costituzionale italiana e i conseguenti risvolti sulla realtà politica e sociale del Paese ha generato attenzione. Per il futuro stiamo vagliando diverse possibilità: io comunque credo si debba mantenere questo sguardo trasversale e diacronico”. E possibilmente riproporre anche l’associazione con forme di espressione artistica che attraverso differenti canali di comunicazione rafforzano il messaggio, come è avvenuto per il ciclo “Passato prossimo” accompagnato dalle piece teatrali di Mauro Monni che hanno saputo coinvolgere ed emozionare il pubblico attorno alle vicende di Gian Giacomo Feltrinelli e Aldo Moro.

In tema di snodi costituzionali, la domanda ad uno studioso attento come Veronesi sull’attuale riforma in discussione al Parlamento è d’obbligo. Qual è la sua valutazione?
Si tratta di riforme attese da tempo: il dibattito è iniziato già negli anni ottanta. Negli anni novanta il Parlamento, nel modificare il titolo V, non ha dato buona prova di sé e, successivamente, la pessima legge di modifica costituzionale messa a punto dal governo Berlusconi è stata fortunatamente affossata dal referendum del 2006. Devo riconoscere che, nonostante le strumentalizzazioni politiche, l’attuale progetto ha ben poco a che fare con quello bocciato nove anni fa. Anche se, com’è naturale, al suo interno si trovano scelte decisamente apprezzabili ed altre che appaiono invece più problematiche in vista della loro applicazione.
Ci fa qualche esempio?
Complessivamente la proposta ha una sua dignità, una sua ‘ratio’. Positivo è il fatto che si affrontino congiuntamente i nodi della riforma elettorale e di quella costituzionale. Apprezzabile è che la soglia per conseguire il premio di maggioranza sia stata fissata al 40 per cento (prima nel Porcellum non c’era alcuna soglia). Importante è che si superi il bicameralismo perfetto, un meccanismo molto diffuso nel secondo dopoguerra come risposta alle derive parlamentari che determinarono gli orrori del fascismo e del nazismo. Ma oggi quell’esigenza va tutelata in maniera diversa, tant’è che prima o poi tutti gli altri Stati se ne sono allontanati: tale modello dilata infatti enormemente i tempi di approvazione delle leggi e tende a non funzionare affatto come una garanzia. Noi siamo rimasti gli unici a mantenere in vigore questo meccanismo.
E qual è oggi la forma corretta di tutela?
Oggi c’è la necessità di accelerare i tempi di decisione, quindi i parlamenti debbono poter deliberare in fretta. Al contempo va preservata (se non rafforzata) la solidità degli organi di controllo: Presidente della Repubblica, Corte costituzionale e Magistratura. Proprio quelli che Berlusconi con la sua riforma (e con leggi collegate) voleva indebolire.
Cosa invece non va?
Negativo è che, nella legge elettorale, resti ancora quell’assurdità che è la pluri-candidatura, una presa in giro per gli elettori: non è serio consentire di presentarsi in differenti collegi; i cittadini hanno diritto di sapere chi stanno eleggendo. Perlomeno, rispetto alla sconcezza della legge approvata nel 2005, è stato limitato il numero dei collegi nei quali ci si può candidare. Poi, io personalmente avrei preferito altri sistemi elettorali, ma – da giurista – valuto quel che si sta approvando e mi pare complessivamente accettabile, anche se potrebbe qua e là insorgere qualche problema di applicazione in relazione al procedimento legislativo così come si delinea dalla riforma.
Che giudizio dà del controverso nodo Province?
La riforma costituzionale prevede l’abolizione delle Province dopo che la legge Del Rio ha messo un tampone al pasticcio combinato dal governo Monti, il quale pensava di eliminarle senza prima modificare le norme costituzionali che le contemplano. Personalmente la loro cancellazione mi lascia perplesso, anche se occorreva senz’altro rimeditarle a fondo. E’ un ente che ha una sua storia e i cui si incardina un sentimento comunitario. Sono in fondo il gradino appena più alto a quello dei Comuni, un’invenzione tipicamente italiana, piena espressione della nostra storia. Sotto il profilo del riconoscimento identitario le province mi sembrano più significative e riconosciute delle Regioni, frutto di una concezione federalista che non ci è mai appartenuta.
La scelta al vertice dello Stato di un presidente come Mattarella che viene dal mondo giuridico ed è stato sino a ieri membro della corte Costituzionale la rassicura?
E’ significativa. Il Presidente della Repubblica è un organo di garanzia i cui poteri aumentano considerevolmente nelle fasi di crisi. Lo abbiamo visto bene con Napolitano. Si potrà discutere il merito di talune sue scelte, non certo la loro legittimità. Ciò che ha fatto rientra pienamente nel dettato costituzionale. Qualcuno polemizza perché i recenti governi “non sono stati eletti dal popolo”. E’ quando mai in Italia lo sono stati? Da noi il corpo elettorale elegge il Parlamento che assegna la fiducia al governo, ed è ciò che è sempre avvenuto in questi anni. Napolitano non ha tracimato dalle sue competenze, gli attacchi che gli sono stati rivolti erano finalizzati a raccogliere facili consensi, così come accadde con Ciampi e Scalfaro prima di lui. Guardando a figure di Presidenti del passato, molti più dubbi, al contrario, sollevano i comportamenti di Cossiga, l’interventismo di Gronchi, le ambiguità di Segni e di Saragat.
Tutti temi che potranno essere oggetto di futuri incontri pubblici…
Ci stiamo ragionando per l’autunno.
A proposito del vostro lavoro, quali iniziative avete in programma a breve termine?
Il 10 marzo, in aula magna a Giurisprudenza, abbiamo organizzato un convegno dal titolo “Stati e crimini contro l’umanità” in cui discuteremo della recente sentenza costituzionale che ha affermato la risarcibilità dei danni provocati dai crimini di guerra e contro l’umanità di cui s’è macchiata la Germania del Terzo Reich: un tentativo di modificare quella consuetudine internazionale che ha sino ad ora impedito il risarcimento delle vittime e dei loro eredi. In aprile affronteremo invece il tema della “galera amministrativa” degli stranieri in Italia, in cui approfondiremo la realtà dei Centri di identificazione ed espulsione.

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Sergio Gessi

Sergio Gessi (direttore responsabile), tentato dalla carriera in magistratura, ha optato per giornalismo e insegnamento (ora Etica della comunicazione a Unife): spara comunque giudizi, ma non sentenzia… A 7 anni già si industriava con la sua Olivetti, da allora non ha più smesso. Professionista dal ’93, ha scritto e diretto troppo: forse ha stancato, ma non è stanco! Ha fondato Ferraraitalia e Siti, quotidiano online dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale Unesco. Con incipiente senile nostalgia ricorda, fra gli altri, Ferrara & Ferrara, lo Spallino, Cambiare, l’Unità, il manifesto, Avvenimenti, la Nuova Venezia, la Cronaca di Verona, Portici, Econerre, Italia 7, Gambero Rosso, Luci della città e tutti i compagni di strada

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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