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Rubrica a cura di Fabio Mangolini e Francesco Monini

Senza Franz Kafka, e senza il suo amico disubbidiente Max Brod che non rispettò le ultime volontà di K che gli aveva chiesto di distruggere tutte le sue carte, non solo non esisterebbero Jorge Luis Borges, o Dino Buzzati, o Julio Cortazar, ma tutta la letteratura mondiale dell’ultimo secolo avrebbe preso altre strade. Sarebbe stata diversa, peggiore probabilmente. E senza Kafka, per limitarci al caso presente, non avremmo potuto gustare quel perfetto meccanismo narrativo de “Il messaggio dell’imperatore”. Grazie al lavoro di un giovane traduttore, Francesco Tosi, siamo felici di poter donare ai lettori di Periscopio questo prezioso gioiello. In questo 2023 ricorrono 140 dalla nascita di Kafka, l’anno prossimo ricorrerà invece il centenario della sua morte, ma “Il messaggio dell’imperatore” è troppo importante, ed è rivolto ad ogni uomo sulla terra, anche a te che stai leggendo queste righe. Davvero non potevamo aspettare.
La lettura del racconto è affidata a Fabio Mangolini.
Buona lettura, buon ascolto e buona visione.
(I Curatori)

Franz Kafka, Il Messaggio dell’Imperatore (1918), traduzione di Francesco Tosi (2020), lettura di Fabio Mangolini.

Vuoi leggere il testo?

Incipit in lingua originale:

Der Kaiser – so heißt es – hat dir, dem Einzelnen, dem jämmerlichen Untertanen, dem winzig vor der kaiserlichen Sonne in die fernste Ferne geflüchteten Schatten, gerade dir hat der Kaiser von seinem Sterbebett aus eine Botschaft gesendet.

IL MESSAGGIO DELL’IMPERATORE

L’imperatore – così si dice – ha inviato a te, un uomo solo, un suddito miserevole, una minuscola ombra fuggita dal sole imperiale nell’angolo più remoto, proprio a te, l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte.
Ha fatto inginocchiare il messaggero accanto al letto e gli ha sussurrato all’orecchio il messaggio; e il suo contenuto gli stava talmente a cuore da farselo ripetere all’orecchio. Con un cenno del capo ne ha confermato la correttezza. E di fronte a tutti coloro che si erano riuniti per assistere alla sua morte – tutti i muri che coprono la vista vengono abbattuti, e sulle ampie scalinate che si ergono imponenti, i grandi dell’impero sono disposti in cerchio – di fronte a tutti loro l’imperatore ha congedato il messaggero.
Questi si è messo in cammino all’istante; un uomo robusto e instancabile; che si fa strada tra la folla ora con un braccio, ora con l’altro; se incontra resistenza, mostra il petto, su cui appare il simbolo del sole; nessun altro avanza con una tale rapidità.
Ma la folla è immensa, le sue abitazioni si estendono all’infinito.
Se solo avesse campo libero, come volerebbe! E presto sentiresti alla tua porta il maestoso bussare dei suoi pugni.
Invece i suoi sforzi sono completamente inutili; continua ad aprirsi la strada tra le stanze del palazzo interno; non riuscirà mai a superarle; e se anche ce la facesse, non cambierebbe nulla; dovrebbe continuare a lottare per scendere le scale; e se anche ce la facesse, non cambierebbe nulla; gli rimarrebbe da attraversare i cortili; e dopo i cortili il secondo palazzo, che racchiude il primo; e di nuovo scalinate e cortili; e ancora un palazzo; e così via per millenni; e se anche riuscisse a superare il cancello esterno – cosa che non accadrà mai e poi mai – si troverebbe ancora di fronte alla città imperiale, il centro del mondo, piena fino a scoppiare di tutta la sua feccia.
Nessuno riesce ad aprirsi un passaggio, e ancor meno chi porta con sé il messaggio di un morto.
Eppure tu siedi alla tua finestra e lo sogni ad occhi aperti, quando si fa sera.

Franz Kafka, Il Messaggio dell’Imperatore, fa parte di Un medico di campagna, Praga, 1918.

Guarda le altre videoletture del Cunto de li Cunti [Qui] o nella rubrica in fondo alla Home di Periscopio

Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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