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Rubrica a cura di Fabio Mangolini e Francesco Monini

Sesta puntata di Lo Cunto de li Cunti: assaggi di buona letteratura da leggere, ascoltare e guardare. Ci prenderemo una pausa in onore del Primo Maggio, ma ritorneremo la prossima settimana con altri racconti (editi e inediti), altri autori (noti e meno noti), interpretati da altri lettori e lettrici. Roberto Giacometti, l’autore del racconto in scena oggi, ci ha mandato in redazione una breve Nota, per ‘spiegare’ come sia nata la lingua inedita da lui utilizzata. Gli lasciamo volentieri la parola.
“L’atmosfera cupa, surreale e favolistica di questa storiella, evidentemente dedicata all’attuale pandemia di Covid-19, è liberamente tratta da Il signore degli anelli di Tolkien, e in particolare a Gollum, l’essere bieco, ambiguo, approfittatore, tanto perfido e malefico quanto candido e innocente. Il linguaggio del racconto è di pura invenzione, ma tende vagamente ad assomigliare a quello che ci si può aspettare di udire da un personaggio simile a Gollum. Ma ancora più importante del linguaggio è il tono, il suono della voce dell’io narrante, che qui si presenta in veste di buffone, di giullare al servizio di un sovrano, che il lettore è invitato a ‘udire’ come fosse una voce sottile, un po’ roca e melliflua: la voce di Gollum, appunto, come l’abbiamo conosciuta nella rappresentazione cinematografica della saga tolkieniana. La novella nasce ovviamente e necessariamente per iscritto, ma è pensata per essere letta o, meglio, interpretata ad alta voce e ascoltata. Solo così, infatti, se ne può cogliere a pieno l’effetto.”.
L’interprete, l’attore Fabrizio Bonora, ha scelto una diversa interpretazione, quindi un’altra voce: un simil teutonico umoristico. Una prova che a noi è parsa riuscitissima Come tutti abbiamo imparato – e Umberto Eco è stato un grande maestro in tal senso – “il lettore è infinito”, vive cioè tre diverse vite: nel pensiero dell’autore, nel testo e nell’ultimo destinatario: il lettore, anzi gli infiniti lettori. buona lettura, dunque, e buon ascolto.
(I curatori de Lo Cunto de li Cunti)

Roberto Giacometti, Qvesta è storiaccia taffero bruuutta, Racconto inedito (maggio 2020)

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QVESTA È STORIACCIA TAFFERO BRUUUTTA

Qvesta è storiaccia taffero bruuutta, mio Sig-nore. Nostri ambassiatori tornati da pìu lontane terre riferiscano che trofato ofunque pestilezie meffittiche e caretti colmi di catafferi ne le istrade e ne le campagnie, con genti che fagano dissorientatte e truppe a cafallo di gvardie imperiali che danno caccia a laddroni e siacalli, infilzantoli con lancie e taliando loro le teste con simitarre.
Nostra maca di coorte interrogato asstri scorsa notte di lluna plena, dopo afere mescollato pozzione propizziatoria per tutto lo dìe e infocato e suplicatto suoi afi predecessori. Sofocatta da allito di spirrito mooolto maleffico, svenutta per ore, s’è ridestatta stammane con specciale lucce ne li occhi, mio Sig-nore, e comminciatto a narrare me sua vissione.
Ticce che vissto picolisssimi esseri senza tessta, né braccia, né gammbe, tanzarre intorno a pira di altissimo foco, con mussica che fenifa da bosco e tamburri che battefano ritmo sempre pìu incalzzante. Qvesti tantissimissimi esserinni occupafano tutta la falle, che prillafa ti loro fluoresenza, e cantafano inno di cloria di loro lurridissima speccie. Loro capo, pìu grante grantissimo come palla di lluna, che semprafa propprio lluna, galleggiafa sopra loro e fibrava e mandafa dardi di lucce fioletta per ogni dofe, tuttintorno. Parefa sabba ti streche malig-ne, ticce nostra maca.
Ma a un punto qvalcosa succeteva. Tal bosco si sentifa fenire ta lontanno soavissimo suonno di piffero, tra fracore di tamburri. Pianno pianno si afficinafa e pianno pianno esserini cominciafano a rallentare tanza e ascoltarre. Palla Lluna smettefa di fibrarre. Piffero mandafa note di tanta allecria, ti canzoncinna che si canta a pimpi per farli smettere di piancere. Poi da cespulli sbucafa ciofinetto saltellante, con calzamag-lia e corsetto di tanti colorri vivacci e buffo cappello a cinqve punte con campannelli soppra. Afefa boccolli di capelli cialli e occhi brillianti e gotte roxa e manni lunche e sottilli.
Allora Palla Lluna cominciatto a borbottarre e mantargli dardi fioletti tutti su ti lui. Intanto esserinni correfavo ferso ciofinetto minacciossisimi. Ma lui fenifa afanti suonanto canzoncinna come se gniente fosse, e si facefa largo tra qvella folla antanto ferso lo foco. Gli esserinni profafano a fermarlo, mentre loro fluoresenza difentafa roxxa fiammante e calore fortissimo promanava da minuscole zampette che spuntafano e si allungafano verso pifferaio, ma come crande magia non riusivano ad avvicinarsi a lui, che afefa come bolla tutta intorno che li tenefa distanti di almenno un mettro.
Arrifato a lo foco, propprio sotto Palla Lluna che gridaffa e ullullafa come luppo, che semprafano li strazzi dell’uniferso interro, lo pifferaio smettefa ti suonare, facefa un ciro su ti sé, e poi un altro, e poi un altro, e poi tanti altri, sempre piu velocci, fino a far cirare la testa a li esserini che la testa non ce l’afefano ma invecce sì, piena di intellighenzia, e poi facefa un salto fino a Palla Lluna e le tirafa la cota che lei non afefa ma invecce sì, come traco assassino, e poi ricadefa atterra, mentre si era fatto così tanto silenzzio che si sentifa solo lo battito de lo suo core.
Allora lui ticeva: «Sonno lo giullare ti coorte, lo puffone, la matta, e sono qvi per raccontarfi le mie istorie, per farfi stare allecri e ritere di me, fino a farfi scoppiare e morrire, bruuutte bestiolle mefiticche e stùpite che non siette altro!».
Sì mio Sig-nore, tice la maca che ero propprio io, mio Sig-nore, lo fostro puffone! E nella vissione de la maca raccontafo qvesta storia assaj mooolto crettina, mio Sig-nore, fino acché Palla Lluna e li esserini morifano tutti esterreffati e inorrititi, ma micca dal riderre mio Sig-nore, perché qvesta storia non fa per gniente riddere, ma per lo ché è cossì stuppida che nessunissimo esserre bono di animo e di spirrito che fife a lo mondo pùo ascoltarla senza sfiluppare dentro ti sé qvel firus impattipile e coontaggiossisimo che fince su tutti li altri: la fete ne lo dimani.

Roberto Giacometti, Qvesta è storiaccia taffero bruuutta, Racconto inedito, 2020

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Cover: elaborazione grafica di Carlo Tassi

 

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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