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Nuove tecnologie e nuovi usi del web che, racchiusi in uno stesso nucleo, andranno a comporre quello che sarà conosciuto come web 3.0: una definizione che ancora non esiste e una concezione ancora lontana dall’affermarsi ma che, a parere di Rudy Bandiera, una fra i più noti blogger italiani, andrà sviluppandosi molto presto.
“Andiamo verso un web potenziato – spiega –  una novità che per la prima volta nella storia racchiuderà tutto attorno ad un unico media che sarà, appunto, lo stesso web”. E al centro di questa rivoluzione ci saremo ancora una volta noi stessi, ancora più di prima. Uno scenario dalle dimensioni enormi che introdurrà un’ennesima novità, l’”economia della reputazione”. Chiaro è infatti che aumentando l’importanza della rete aumenterà di pari passo anche il nostro bisogno di essere influenti all’interno della rete stessa. Saremo giudicati allora principalmente per la nostra capacità di muoverci nel web e di imporci come “influencer”, come soggetti cioè in grado di saper creare un’ampia rete attorno alla quale costruirsi la più alta reputazione e credibilità possibile.
Questo è già presente oggi, tutto quello che facciamo in rete può essere infatti mappato e controllato (piattaforme come Klout misurano proprio la nostra influenza nel web), ed anche le aziende incominciano a tenere in considerazione queste statistiche per scegliere chi assumere.

L’occasione per riflettere su questi temi cruciali è stato il seminario di Unife organizzato dal ricercatore del Dipartimento di Economia e management Fulvio Fortezza che si è tenuto ieri, al Polo degli Adelardi. Protagonista Rudy Bandiera, notissimo blogger ferrarese, ai vertici delle classifiche di vendita con il suo volume “Rischi e opportunità del Web 3.0″ e socio fondatore di NetPropaganda con l’amico Riccardo Scandellari. L’incontro, aperto a studenti e alla comunità, aveva l’obiettivo di stimolare il ragionamento su alcune cosiddette “tematiche di frontiera” inerenti al mondo della comunicazione nell’era digitale, analizzando chi già padroneggia questo settore e come questo si svilupperà e andrà a consolidarsi nel (ormai vicinissimo) futuro.

Obbligata una prima introduzione sull’avvento di tale sistema, una rivoluzione tecnologica che ha visto i suoi albori negli anni ’70 con le prime diffusioni dei computer e che si è affermata solamente nella metà degli anni ’90, nel bel mezzo della bolla speculativa che ha comportato la crisi del settore tecnologico. Un aspetto, quest’ultimo, che Bandiera contestualizza nei nostri giorni, definendo l’attuale problematica situazione non come mera crisi, ma un “cambiamento necessario che sarà destinato a terminare e consolidarsi, come la storia ci insegna”.

Facendo poi una carrellata quindi dei principali colossi, rinominati in questo caso veri e propri “ecosistemi”, che rispondono al nome Apple, Microsoft, Facebook, Amazon e Google, è emerso come tali aziende che oggi sono incontrastate dominatrici dello scenario globale, in principio non furono altro che semplici visioni nate perlopiù in garage, frutti di idee sulla carta semplici e scontate ma che, messe in pratica, hanno contribuito a cambiare il nostro stile di vita, il nostro modo di concepire il mondo, il nostro essere.
Tutto questo per introdurre il fine ultimo del seminario, la consapevolezza cioè che la tecnologia si sta evolvendo sotto i nostri occhi in tempi e modi che ci paiono essere degni della più utopica fantascienza; che in realtà siamo proprio noi stessi a comportare tali cambiamenti, agendo in prima persona nelle dinamiche del web.

“Non esiste più la comunità della rete” afferma Bandiera, intendendo che oggi volenti o nolenti siamo tutti dentro a quello che ruota intorno al web, e che la stessa rete si sta andando a trasformare proprio come noi vorremmo si trasformasse.
È stata così introdotta la questione del “web semantico”, un nuovo scenario che ci presenterà le macchine non solo in grado di leggere quello che noi vogliamo ma anche di interpretarlo, software che comunicheranno tra di loro decodificando ogni nostro pensiero introdotto nella rete. Una tecnologia pervasiva (o trasparente), che noi non vediamo ma esiste e lavora con e per noi. Il tutto ingigantito dalla diffusione sempre maggiore di realtà aumentata e nuove tecnologie 3D: i Google Glass per esempio, gli occhiali “smart”, dei quali proprio Rudy Bandiera è stato uno dei pochi in Italia a testare e recensire. Apparecchi che ci sembrano ancora così lontani dall’esistere ma in realtà esistono già e aspettano solo di essere commercializzati.

Alla luce di quest’ultima tematica ed in conclusione, Bandiera ha cercato di spiegare come muoversi per farsi conoscere nella rete narrando anche la sua esperienza personale, caratterizzata da un blog divenuto uno dei più visitati in Italia, oltre che dalla chiamata da parte di Google a presentare l’unico suo evento italiano nel 2014. Il blog, appunto, viene visto come uno strumento unico ed il solo in grado di poter esprimere tutte le nostre capacità e le nostre passioni in assoluta libertà, un investimento in termini di tempo e risorse che non comporta necessariamente un guadagno diretto ma indiretto, un modo per cominciare e farsi conoscere. Ma attenzione al fattore “straordinarietà”: siamo straordinari una volta sola, copiare ed emulare qualcosa che va già bene potrebbe non essere la soluzione.
Ci viene ricordato che “le cose più difficili da mettere in atto sono anche quelle che ci frutteranno di più”, dobbiamo cioè essere bravi a dimostrarci innovatori e creativi per creare qualcosa di unico.

Infine si è parlato di opportunità. Questa è la parola chiave secondo Bandiera, capire quello che sta accadendo e saper cavalcare le infinite possibilità che questo cambiamento ci metterà davanti. Questo è il monito di un personaggio che questa opportunità l’ha colta ed ha saputo sfruttarla con grandi risultati, un’esperienza che vuole diffondere a tutti noi e soprattutto alle nuove generazioni (i cosiddetti “nativi digitali”) affinché capiscano e comprendano gli infiniti scenari che verranno loro offerti. Senza però spaventarsi: il blogger non nasconde che questo rapidissimo cambiamento senza precedenti può spiazzare e farci perdere il contatto con la realtà, ma è un processo necessario ed inarrestabile, non potremo più pensare di agire senza capirlo o muoverci dentro. Ecco perché seminari come questi andrebbero moltiplicati e diffusi, soprattutto in un Paese come il nostro, ancora così ostile al cambiamento e rimasto indietro anni luce per quanto riguarda le tematiche appena affrontate.

Leggi sullo stesso argomento la riflessione di Andrea Cirelli

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Andrea Vincenzi

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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