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Molti anni fa, in un periodo di crisi esistenziale e completo disorientamento, ho incontrato lo Yoga. Grazie alle sue tecniche mi sono incamminato un po’ alla volta lungo un percorso di crescita personale. Con la pratica  di certe posizioni ho migliorato la mia condizione fisica, la mia energia e la mia salute, con l’uso sapiente della respirazione ho imparato a modulare con più armonia le mie sensazioni, con la meditazione ho cominciato a controllare i pensieri e ottenere una maggiore chiarezza mentale.
Con lo studio della cultura e della filosofia orientali ho sviluppato, un po’ alla volta, una personalità più gioiosa, serena ed equilibrata. Grazie allo Yoga ho scoperto nuove prospettive da cui guardare il mondo, un metodo per interrogarmi e trovare risposta alle mie domande e ho iniziato un nuovo ciclo di vita con maggiore consapevolezza e  solidità.
Pratico e insegno yoga da molti anni, con il piacere di condividere questa disciplina che mi è stata di tanto aiuto nell’affrontare complicate vicissitudini e continua tuttora a fornirmi spunti di riflessione non abituali  tra gli abitanti di una ‘società occidentale civile’.

L’esperienza della pandemia, che ha scosso tante persone e messo in crisi stili di vita e valori consolidati, mi ha  portato a una serie di considerazioni che inevitabilmente risentono delle conoscenze da me acquisite dallo Yoga in tutti questi anni.
Premetto innanzitutto che il mio pensiero e la mia vicinanza sono andati a tutti coloro che sono stati colpiti nella salute e hanno visto mancare le risorse necessarie per continuare a vivere in modo decente. Nessuna filosofia riuscirà a cancellare la loro sofferenza nell’animo di molti di noi. E credo che dobbiamo costantemente ricordare come il diritto alla Vita (dignitosa) vada considerato un diritto per tutti gli uomini, in tutto il mondo, di qualsiasi razza, sesso, opinioni politiche e religiose.

Ricordo sempre quanto è scritto nella Dichiarazione d’indipendenza americana (4 luglio 1776): “Noi teniamo per certo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono creati eguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di certi Diritti inalienabili, che tra questi vi siano la Vita, la Libertà e il perseguimento della Felicità“.
Una vita decente, innanzitutto. Già, ma cosa serve per una vita decente? La risposta che le società ‘progredite’ hanno dato a questa domanda è stata declinata nel raggiungimento di obiettivi sempre più numerosi  e complessi, così come complesse sono le società in questione.
Innanzitutto il possesso di crescenti beni materiali e di consumo, in linea con l’affermarsi di una economia capitalistica sempre più estrema. Ciò che doveva essere il mezzo per il raggiungimento della felicità (il bene materiale che agevola la vita) è diventato il fine da raggiungere, anche a costo di una vita più sofferta, insana e infelice. Una diabolica inversione tra mezzo e fine.
Per ogni obiettivo raggiunto subito un altro da conquistare, in una catena ininterrotta di tensione verso altro da quanto presente e in nostro possesso. Non è un caso che guardandoci attorno vediamo spesso tanta scontentezza e frustrazione, pochi sorrisi.
Uno stile di vita assolutamente nocivo, ma molti lo danno per scontato.
Preferisco le visioni di alcune filosofie orientali, per cui un concetto chiave per ottenere una soddisfazione profonda è quello di ‘appagamento’, che consiste nell’accontentarsi di ciò che si è e di ciò che si ha. Subito, in ogni momento presente. A cominciare dall’apprezzamento per il fatto stesso di essere e di vivere,  fortuna di cui troppo spesso ci dimentichiamo.

Certo, in molte società un frainteso senso di ‘appagamento’ ha dato adito a una passività che ha frenato lo sviluppo di attività importanti, come la medicina o la scienza alimentare, con riflessi negativi sulla qualità e durata della vita.
Ma per un essere umano desideroso  di migliorare e di risolvere i nuovi problemi che la vita pone di continuo, l’essere appagati dal presente non impedisce di proporsi e realizzare obiettivi di progresso. Senza però presumere che questo potrà dargli felicità definitiva e completa.
Dunque godersi l’oggi, il più possibile tutti i giorni, è essenziale per realizzare una felicità profonda, senza per questo escludere l’impegno verso nuovi traguardi.

Allargando poi la visuale oltre la nostra piccola vita personale possiamo vedere come intorno a noi si pongano  sempre nuove sfide. A periodi favorevoli succedono inevitabilmente momenti critici: guerre, epidemie, eventi climatici disastrosi fuori dal controllo e dall’influenza umana, come eruzioni vulcaniche, terremoti e tsunami.
Non esiste una crescita continua e lineare. L’esistenza è un susseguirsi di eventi di segno opposto, favorevoli e terribili, che evidenzia un altro concetto essenziale della filosofia orientale: l’impermanenza. Tutto cambia, e non sempre per il meglio.
Essenziale dunque non dare nulla per scontato e coltivare una dote fondamentale: la capacità di adattarsi a situazioni diverse trovando nuove soluzioni. Ritengo che proprio questa sia stata la principale caratteristica che ha consentito il diffondersi della popolazione umana sul pianeta.

Personalmente, avendo dovuto interrompere i miei corsi di Yoga in presenza a causa della pandemia, ho provato a proporre ai miei contatti corsi on line. Ho pensato che, quanto meno per alcuni, potessero costituire un’attività che avrebbe aiutato a utilizzare positivamente gli spazi di isolamento domestico in tempi di lockdown. Il successo che ha riscosso questa iniziativa  è andato oltre le mie aspettative e mi ritrovo a dover gestire più gruppi e persone di quanto non facessi in tempi pre-covid. A fronte della perdita di importanti elementi come la presenza, con le sue possibilità di contatto diretto, ho sperimentato la possibilità di sviluppare elementi di unione e condivisione tra le persone con modalità diverse, anche online.
In uno dei miei corsi ho allievi che si collegano dalla Gran Bretagna, dalla Germania e da Viterbo. Dunque per ogni spazio che si svuota c’è sempre la possibilità di riempirlo con qualcos’altro, se ci si pone nell’ottica di essere sempre pronti per ricominciare.
La passione per le filosofie orientali non mi fa però perdere la fiducia in alcune alte espressioni della civiltà occidentale che hanno grande risalto in questi tempi, come ad esempio la scienza medica.  Fondata sulla capacità logica di osservare, sperimentare e verificare le sue affermazioni, mi sembra molto più affidabile di tante voci che si sono levate per propagandare teorie e pratiche sulla pandemia basate su fantasie di singoli e sensazioni estemporanee prive di approfondimento..

Abbiamo sentito in questo periodo le più svariate opinioni, anche palesemente irragionevoli, per  nulla fondate su fatti, ma su libere e fantasiose interpretazioni. Penso che la scienza saprà esprimere con esiti positivi il suo ruolo autorevole nel contrasto alla pandemia; credo inoltre che anche noi stessi possiamo aiutarci coltivando la capacità di ragionare validamente, piuttosto che affidandoci agli umori del momento.
Purtroppo però nelle nostre istituzioni preposte all’istruzione si fa molta più attenzione alla quantità di competenze settoriali piuttosto che allo sviluppo dell’equilibrio della persona.
Non meno carente è la formazione degli individui  rispetto alla comunità di appartenenza. Ho spesso sentito persone, anche ‘colte’, che si vantavano di riuscire ad aggirare l’onere di contribuire alle cassa nazionale per mezzo delle tasse e parecchie altre che neppure ne capivano la ragione, negandone la necessità. Salvo poi usare le strade, mandare i figli a scuola e godere dell’assistenza pubblica, come se la costruzione e il mantenimento di questi servizi fosse a carico della provvidenza; ben altro sono ovviamente le critiche per la cattiva gestione dei servizi comuni!

Ma l’atteggiamento che più mi ha colpito, in questo periodo, è stato quello tenuto da molti sul tema della libertà. Le limitazioni imposte dai provvedimenti per fronteggiare il Covid hanno messo in evidenza non solo come molti rifiutino di adattarsi a una situazione nuova, ma abbiano a cuore un’idea di libertà completamente scissa dalla responsabilità verso gli altri. Per costoro, insomma, la libertà dell’individuo non può essere limitata in alcun modo, per nessun motivo.
Una sensibile fetta di popolazione, in buona parte del mondo, ha contestato la possibilità di veder diminuire la propria libertà di azione anche a costo di arrecare notevoli danni alla salute di altre persone e all’intera comunità.
Non sto parlando ovviamente di chi ha osteggiato le varie chiusure di attività commerciali perché da queste attività doveva trarre il proprio sostentamento, ma di chi ha fatto (e suppongo continuerà a fare) una vera e propria battaglia ideologica contro il principio che la società possa applicare dei limiti agli individui per difendere il bene comune. Non vorrei dare l’idea di affrontare la questione in modo semplicistico, perché dietro l’applicazione di norme restrittive dei diritti possono spesso celarsi tentativi antidemocratici di controllo sociale; provvedimenti di questo tipo meritano dunque particolare attenzione, anche critica.

Il modello di sviluppo economico e sociale delle nostre società hanno indirizzato gli individui verso stili di vita edonistici fortemente caratterizzati da indifferenza e scarso rispetto per il prossimo. Il sacro anelito alla libertà e alla giustizia sociale, nato in tempi di evidente oppressione da parte di pochissimi uomini nei confronti di molti, si è trasformato ormai in atteggiamenti di perenne contestazione e opposizione a qualsiasi regola sociale o morale che appaia esterna all’individuo.
Si urla il diritto di negare: l’esistenza di virus, la shoah, la rotondità della terra e ogni altra cosa  immaginabile.
Certo, i motivi di sofferenza e insoddisfazione nel mondo non sono certo cessati e moltissimo c’è da fare per migliorare le condizioni di vita della gran parte della popolazione, ma per mio conto non credo che un atteggiamento fondato sulla negazione sia il migliore per procedere in questa direzione.

Ritengo che non solo vada tenuto sotto stretta osservazione l’evolversi del mondo e vadano stimolate attività costruttive nella e per la società, ma che sia assolutamente necessario sviluppare una altrettanto  attenta osservazione nei propri stessi confronti: mettere in primo piano la necessità di migliorare in primo luogo noi stessi, in quanto parte del mondo sulla quale più immediatamente possiamo agire.
Non solo antiche filosofie, ma anche moderne acquisizioni scientifiche, sulle quali si basano ad esempio le  scienze ambientali, ci dimostrano come tutto ciò che vive è in stretta relazione  e che il benessere di ogni parte è collegato al benessere di tutte le altre.

Siamo uomini in viaggio sulla stessa astronave, il pianeta terra, e la soluzione dei nostri problemi coinvolge tutti noi e l’ambiente in cui viviamo. Vederci come individui separati dagli altri e dalla vita è un punto di vista limitato e non lungimirante, riduttivo anche dal punto di vista dei benefici che arreca.
Meno io, più noi; meno competizione, più condivisione. Per questo motivo ormai insegno Yoga senza richiedere un corrispettivo economico, accontentandomi ‘solo’ del piacere di condividere e procedere insieme agli altri.
Trovare un modo per migliorare noi stessi e il nostro stile di vita può essere un buon inizio per migliorare il mondo e la nostra felicità. Ha detto il Dalai Lama: “Quello che mi ha sorpreso di più negli uomini dell’Occidente è che perdono la salute per fare i soldi e poi perdono i soldi per recuperare la salute. Pensano tanto al futuro che dimenticano di vivere il presente; in tale maniera che non riescono a vivere né il presente, né il futuro. Vivono come se non dovessero morire mai e muoiono come se non avessero mai vissuto.”

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Salvatore Spataro

Laureato in Pedagogia e Scienze dell’Educazione e della Formazione, insegna Yoga con un metodo semplice e accessibile, finalizzato a migliorare la vita di tutti i giorni. Autore del sito www.yogapereducare.it, è contattabile all’indirizzo e-mail yogapereducare@gmail.com

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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