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Capisco che bisogna governare, capisco che la scuola è un malato grave, che non c’è tempo per spremere le meningi ed è molto più facile copiare dal nostro vicino di banco, in questo caso gli Usa.
Le sorprese scolastiche di Renzi altro non sono che la fotocopia, adattata a casa nostra, del programma, non poco sofferto, dei democratici d’oltre oceano con la benedizione di Obama.
Non quello del 2002, quando la riforma della scuola guadagnò una indiscutibile influenza con l’approvazione della legge federale, No Child Left Behind Act (Nclb). Ma i risultati, poi, non furono quelli attesi, anzi, assai deludenti. I test scolastici nazionali dimostrarono impietosamente che molti studenti, specialmente quelli delle minoranze etniche nei centri urbani, non raggiungevano le competenze attese in lingua e aritmetica, mentre un nuovo tipo di scuola , la charter school, stava cominciando a competere con la scuola pubblica tradizionale.
Il programma di Renzi con lo zuccherino della prospettiva di circa 200mila assunzioni, di soli docenti, entro il 2019, sembra studiato apposta per evitare il contraccolpo dei sindacati all’inequivocabile introduzione del “merit pay”, salario di merito.
Forse è bene ricordare, a chi non ha letto Teachers Versus Public, pubblicato a Washington dal Brookings Institution Press nel 2014, cosa potrebbe succedere anche nel nostro paese.
Nel settembre del 2012 gli insegnanti di Chicago hanno costretto a chiudere le scuole della città per sette giorni e più, le loro rivendicazioni andavano ben al di là del solito. Oltre all’aumento di stipendio la Ctu, Chicago Teachers Union, protestava contro l’introduzione della giornata scolastica più lunga, la valutazione degli insegnanti basata sui punteggi degli studenti ai test, contro la retribuzione di merito, e la creazione delle charter school (i dirigenti e gli insegnanti del Ctu avevano letto Shock Doctrine di Naomi Klein, una denuncia della privatizzazione del pubblico in tutto il mondo).
Quello del reclutamento e della formazione degli insegnanti è comunque la prima delle emergenze della scuola italiana, che nulla toglie a quanti in tutti questi anni hanno continuato a formarsi a costo di sacrifici personali e, per i quali, si dovrà prevedere pure una forma di riconoscimento.
Chi lavora nella scuola sa benissimo, senza infingimenti, che gli insegnanti variano ampiamente nella loro efficacia nel determinare i risultati degli studenti, per cui occorre considerare con attenzione il ruolo critico che giocano reclutamento, assunzione in ruolo e retribuzione per il successo formativo degli studenti. È per questo che oggi in tutto il mondo le politiche dell’occupazione degli insegnanti sono sempre più sotto controllo, in particolare la loro formazione.
Del resto è difficile negare che il mantenimento della retribuzione basata esclusivamente sull’anzianità finisce per proteggere il lavoro degli insegnanti inefficaci e pone l’interesse della categoria al di sopra di quello degli studenti, oltre ad andare a scapito dei tanti docenti validi e fortemente motivati.
Bene, dunque, “la buona scuola” muove da “buoni insegnanti”, incentivati professionalmente dal merito. Non è mai troppo tardi. Nessuno di noi si farebbe curare da un medico inesperto e professionalmente non aggiornato. A scuola invece sì. Tanto la scuola non ammazza.
È proprio qui che si insinua il tarlo di una domanda elementare, viene cioè da chiedersi che differenza ci sia tra le proclamate riforme della scuola dei governi precedenti e questa “La buona scuola” del governo Renzi. Questo titolo tra il target e lo slogan, dovrebbe essere rassicurante, ispirare fiducia e ottimismo.
Invece, confesso, che appeno letto sono stato percorso da un brivido nella schiena. Un po’ perché foneticamente troppo parente con “Il buono scuola”, in questo caso una sorta di tagliando di revisione della macchina “sistema scolastico”, ma soprattutto, ciò che inquieta è la lunga ombra di decenni di “cattiva scuola” che il faro della buona scuola produce intorno a sé. È come quello che ti dice «quel bambino è buono, l’altro invece è cattivo» poi, se mai, nella realtà si rivela tutto il contrario. È come un buon piatto, non è detto che tale sia per tutti. D’altra parte per i nostri vecchi era buona la scuola dei loro tempi.
Il fatto è che dentro agli aggettivi qualificativi, buono, cattivo, ci sta tutto e il contrario di tutto.
E allora riflettendo sullo stato della nostra scuola, la “buona scuola” dà l’impressione di essere ferma all’infanzia dei pensieri, se si riflette sulla ben più complessa portata del discorso formativo oggi.
Il profilo della buona scuola tracciato dal governo pare i disegni della settimana enigmistica, quelli che unisci con linee i diversi punti e ti viene fuori una figura. Sono dodici i punti segnati dal governo da unire per avere una buona scuola.
Però tra questi punti non ci sono né i bambini né gli studenti. È possibile che ci sia una buona scuola che non muova prima di tutto da loro? No, loro non sono considerati, si prendano il piatto che gli adulti gli confezionano. Eppure si citano come padri della patria educativa Maria Montessori, Don Bosco, Don Milani, perfino Loris Malaguzzi. Non mi pare che la loro preoccupazione prima fosse la scuola, ma i ragazzi! Anzi con la scuola ce l’avevano su tanto!
Allora viene il sospetto che si voglia impastare un pane nuovo con la farina vecchia. Ed è così a leggere attentamente, dall’immissione in ruolo dei docenti a quello che fino ad ora, sulla carta, sarebbe stato possibile praticare, dall’organico funzionale ai rapporti con il territorio, all’apertura delle scuole, ma non si è fatto per mancanza di risorse e di personale, non per colpe di una generica cattiva scuola, ma per responsabilità precise di una cattiva politica e di cattivi governi.
Ora, è difficile allontanare il dubbio che la necessità di sistemare il personale prevarichi ogni riflessione vera sullo stato della scuola italiana, sulla pesantezza dei suoi curricoli, sul fatto che tutto si debba apprendere a scuola. Slogan come “cultura in corpore sano” usati nel 2014, sono per lo meno irritanti, oltre che fuori luogo. Dite piuttosto che avete bisogno di sistemare gli insegnanti di scienze motorie, l’integrazione tra scuola e territorio si fa riconoscendo che a scuola non può essere fatto tutto e che gli apprendimenti possono essere conseguiti nelle strutture e nelle istituzioni che agiscono con competenza nel suo contesto ambientale, è sufficiente dare loro dignità riconoscendoli come crediti. La scuola buona oggi è quella che è capace di pensare un sistema formativo integrato al servizio del diritto allo studio delle persone, di superare le classi, i voti, gli orari rigidi e le bocciature.
Ancora una volta non si tratta di scuola buona, ma di scuola ben fatta, capace di portare a compimento questa rivoluzione, che Montessori, Don Bosco, Don Milani e Loris Malaguzzi hanno a loro tempo praticato.
È un capitolo questo che ancora attendiamo venga scritto. La buona scuola potrebbe esserne la premessa, solo questo di tante speranze oggi ci resta. Diversamente anche questa buona scuola sarà una cattiva maestra.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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