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Qualche mese fa, prima dell’estate, Beppe Grillo intervistato da Vespa fece ridere il mondo con alcune incredibili sparate [vedi] sulle stampanti 3D, ad oggi usate a suo dire per produrre turbine per motori aerei e come dispenser di oggetti a piacere, collocate a servizio dei cittadini nei comuni americani. Qualcosa di molto simile a quello che faceva Robby nel film di fantascienza del 1956 “Il pianeta proibito” [vedi]: evidentemente nella mente dell’ex-comico, nato nel 1948, i ricordi dell’infanzia diventano sempre più difficili da distinguere dalla realtà.
Sono convinto che altrove il leader di un movimento politico che ha preso il 25% dei voti alle elezioni e delirasse in quel modo verrebbe istantaneamente sommerso da critiche e lazzi dai principali organi di informazione, mentre da noi la cosa è passata praticamente sotto silenzio, tranne che fra gli addetti ai lavori. D’altra parte è spesso evidente, tolte poche lodevoli eccezioni, la difficoltà con la quale molti operatori dell’informazione approcciano temi che abbiano un qualche contenuto tecnologico o scientifico. Quel che ne esce sono di solito pastoni confusi, spesso zeppi di imprecisioni, che puntano sul sensazionalismo per catturare l’attenzione dei lettori. Ma soprattutto sono questi ultimi che non sembrano interessati alla tecnologia e alla scienza, considerandole letteralmente quasi come curiosità di altri mondi, a meno naturalmente che non si tratti dell’ultimo costosissimo gadget telefonico da esibire agli amici.
Siamo d’altronde uno dei Paesi in Europa in cui l’indice di penetrazione della banda larga è più basso, molto inferiore alla copertura potenziale del territorio garantita dagli operatori e nonostante che i prezzi siano fra i più competitivi. Discorso analogo si può fare per la diffusione dei Personal Computer. Chi fosse interessato ai dati di dettagli li può trovare sul sito della Commissione Europea a questo link [vedi].
Questa situazione sta determinando in pratica e come qualcuno qualche anno fa prevedeva, l’esclusione del nostro Paese dall’elenco di quelli in cui le innovazioni di prodotti e servizi arrivano per prime, escluso, per ora, gli amati telefonini o almeno quasi tutti. Non si tratta di orgoglio nazionale ferito, naturalmente, ma di un segnale di marginalizzazione che deve preoccupare, perché pone il Paese al di fuori dei flussi dell’innovazione e ne rallenta la modernizzazione, cioè in ultima istanza la fuoriuscita dalla crisi. Come esempio recente si può prendere la decisione di Netflix [vedi] di non aprire per il momento il servizio in Italia, mentre esso è già disponibile in Gran Bretagna, lo sarà a brevissimo in Francia e qualche mese dopo in Germania ed in altri Paesi. Per chi eventualmente non lo sapesse Netflix è un operatore americano di servizi di intrattenimento accessibili tramite internet che si pone come concorrente ai servizi tv a pagamento, sia satellitari che via cavo. Negli Usa ha ormai circa 50 milioni di abbonati ed ha iniziato da qualche anno a produrre contenuti in proprio.
Si tratta in questo caso solo di un esempio e qualcuno potrebbe addirittura essere contento di non subire un’ennesima colonizzazione mediatica, non considerando che la marginalizzazione non porta mai all’indipendenza e toglie la possibilità di poter competere con i propri prodotti sulle nuove tecnologie. Un analogo discorso potrebbe essere fatto per quello che riguarda l’e-commerce, la cui scarsa diffusione nelle nostre aziende oltre che per i consumatori finali (vedere i dati della Commissione linkati sopra) rallenta lo sviluppo economico del Paese. Certamente qualcosa si è mosso negli ultimi anni ma è ancora decisamente troppo poco: come al solito, mentre gli altri corrono, noi ci accontentiamo di camminare.
Ci sono evidentemente delle cause e delle responsabilità precise dietro tutto ciò. Fra le prime, come accennavo, la scarsa propensione a considerare l’innovazione un argomento di pubblico interesse e di intervento politico, fra le altre la chiara, quanto miope, volontà del polo televisivo privato di rallentare lo sviluppo di internet. Sintomatica a questo proposto la decisione presa a suo tempo di sovvenzionare sotto la voce incentivi alla larga banda anche la vendita dei decoder per il digitale terrestre. Adesso questo atteggiamento dilatorio è sostenuto anche dal principale operatore di pay-tv satellitare, che vede nell’Italia un mercato nel quale poter più facilmente resistere alla nuova concorrenza.
Gli obiettivi europei per il 2020 prevedono che tutte le abitazioni di ogni Paese della Comunità abbiano a disposizione una connessione ad internet ad almeno 30 Mbit/sec ed almeno il 50% possa contare su 100 Mbit/sec. I principali Paesi europei sono sulla buona strada e, nonostante la crisi, riusciranno a raggiungere quell’obiettivo o, almeno, ad andare vicino al suo raggiungimento. L’Italia, se le cose non cambiano rapidamente, rischia di mancarlo clamorosamente. E’ indubbiamente questa una delle tematiche su cui il governo in carica è chiamato a dimostrare la sua dichiarata intenzione di ”fare” e su cui si gioca una parte importante della propria credibilità. I passi fatti finora sono a mio parere ancora troppo timidi, nonostante l’alibi della scarsità di risorse disponibili e l’indubbia difficoltà a mettere mano a realtà complesse quali la razionalizzazione dell’infrastruttura informatica della Pubblica Amministrazione.
Tornando da dove eravamo partiti, cioè alle stampanti 3D, bisogna tuttavia notare che in questa particolare tecnologia l’Italia esprime una presenza di tutto rispetto, sia sul piano dell’innovazione di prodotto sia su quello della diffusione presso i nuovi artigiani digitali, che ormai vengono definiti con il termine maker. Si tratta infatti di una tecnologia relativamente a basso costo ed alla portata se non proprio di tutti, senz’altro di molti; persino io sono riuscito a costruirne una comprando le parti necessarie da diversi negozi online sparsi per il mondo. E’ un esempio che dimostra come la capacità e l’inventiva made in Italy, quando non frenate da carenze infrastrutturali, riescano ad emergere con ottimi risultati. Purtroppo non è sufficiente.

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Raffaele Mosca


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

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