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In molti si chiederanno perché, mentre si rivendica il diritto di satira senza restrizioni di linguaggio e di argomento, si dovrebbe invece condannare il sen. Roberto Calderoli, reo di aver pronunciato ingiurie razziste nei confronti dell’ex ministro Cecil Kienge. In fondo, diranno in molti, le vignette di Charlie Hebdo e degli altri giornali satirici sono spesso molto più pesanti e sgradevoli di quanto non lo sia stato l’esponente leghista. Esiste una differenza fra le due situazioni o si tratta invece del solito astio politico che porta a voler usare due pesi e due misure?
Detto in altri termini, occorre stabilire come si distingue la satira dall’insulto, tema del quale nei giorni del lutto dopo l’attentato di Parigi si è discusso abbastanza poco e, comunque, quasi esclusivamente con riferimento alle tematiche religiose.
La satira è sempre disinteressata, un po’ come lo è l’arte, nel senso che l’autore satirico non persegue alcun fine di carattere personale o quello di un qualche specifico gruppo organizzato: la sua è una visione, certamente schierata ed estrema della realtà, che ha però il solo obiettivo di metterne in risalto le contraddizioni. Il suo obiettivo non è mai ideologico, ma “leggero” e teso a seppellire di risate tutto quanto, a giudizio dell’autore, c’è di grottesco, ingiusto ed ipocrita nel mondo. In quest’ottica, la dissacrazione a 360 gradi è lo strumento per mantenere vivo il germe del dubbio contro ogni forma di rigidità ideologica e di conformismo sociale: non può quindi esistere per definizione alcuna “satira di partito”.
Un insulto, al contrario, ha sempre una finalità specifica: il suo obiettivo è quello di ferire le persone contro cui è rivolto, al fine di ribadire la presunta superiorità (fisica, morale, razziale, ecc.) nei loro confronti di chi lo pronuncia. Questo sia quando si rivolge ad una persona in particolare, sia quando viene lanciato contro interi gruppi sociali, etnici, razziali, religiosi, politici. Questo vale sia per le liti di strada che per i comizi elettorali o i talk show televisivi.
Può quindi succedere, paradossalmente, che una determinata frase sia classificabile come ‘satira’ o come ‘insulto’ a seconda del contesto in cui viene pronunciata ed i fini che intende perseguire. Allo stesso modo in cui una specifica scena cinematografica di nudo integrale possa essere considerata pornografia o libera espressione artistica.
Nel caso in questione, quello di Calderoli si configura al di là di ogni ragionevole dubbio come un insulto, con l’aggravante del contenuto razzista, utilizzato per umiliare un avversario politico ed al fine di rafforzare l’ostilità dei militanti del proprio partito nei suoi confronti. In termini legali si chiama “incitamento all’odio razziale”.
Non vale a mio parere in questo caso la tutela dell’art. 68 della costituzione che prevede l’insindacabilità delle opinioni espresse da un membro del parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, in quanto non siamo di fronte ad un giudizio politico e nemmeno ad un’espressione, come si dice, ‘colorita’, ma ad affermazioni intenzionalmente ingiuriose che nulla hanno a che fare con la dialettica parlamentare, per quanto aspra possa essere. Le scuse, peraltro assai tardive, non attenuano la gravità del fatto.
I parlamentari che in Commissione per le autorizzazioni a procedere del Senato hanno ritenuto che le affermazioni del loro collega non fossero censurabili, in quanto coperte dalla tutela costituzionale citata o in ragione di altri espedienti giuridici, sono a mio parere l’ennesima dimostrazione della distanza che ancora separa il Paese dalle sue classi dirigenti, che al solo fine di proteggersi non esitano ad utilizzare tutti gli espedienti disponibili.

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Raffaele Mosca


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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