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“Bellum cano perenne, between usura and the man who wants to do a good job” (Ezra Pound, Venezia e Rapallo, 1944)

Le potenti armi di distrazione di massa colpiscono ancora, e continuano a provocare danni estremamente gravi. Scandali, gossip politico e tafferugli di partito fanno sistematicamente cadere nell’oblio mediatico il tema da cui non si può prescindere, talmente importante da essere stato la causa e il fine di tutti conflitti dell’epoca moderna, compresi i più di un miliardo di morti delle due guerre mondiali. Sto parlando ovviamente del sistema economico e del suo principale mezzo, la moneta.
E’ irritante l’impunità con cui Matteo Renzi dichiara dal palco del meeting di Comunione e Liberazione che “La riduzione delle tasse non è uno strumento per aumentare il consenso di un premier. È uno strumento per aumentare la libertà e l’uguaglianza dei cittadini italiani” quando, stando ai dati ufficiali del ministero delle Finanze, il prelievo fiscale in Italia continua ad aumentare vertiginosamente, infatti nel primo semestre del 2015 le tasse locali e statali sono aumentate di ben 3,2 miliardi di euro (l’aumento dell’intero 2014 fu di 2,7 miliardi).
E’ però poi terrificante ricordarsi che il “rottamatore” fiorentino è il presidente del Consiglio e governa questo Paese e quindi le sue menzogne non sono parole al vento ma influiscono poi sull’economia reale, sugli stipendi e sul tessuto industriale italiano. Ma per carità, non voglio di certo accollare tutta la colpa a Renzi, che è solamente l’ultimo dei cortigiani dell’Unione europea che sono stati messi nella stanza dei bottoni di questo Paese, da Prodi a Monti, da Berlusconi a Letta.
E’ doveroso inoltre riconoscere che la storia si ripete. Essa è grande maestra ma ha purtroppo pessimi scolari. Prima, in nome del progetto velleitario e fallace dell’Unione europea, è stata decisa la cessione della sovranità monetaria (unico mezzo per sostenere la laboriosità di una comunità), una volta entrati nella gabbia dell’Eurozona, i tassi di interesse sui prestiti della Bce (il costo del denaro) venivano scelti arbitrariamente da tecnocrati mai eletti, questi tassi d’interesse mostruosi fanno crescere vertiginosamente i debiti dei Piigs, e quegli stessi debiti vengono usati come minaccia al fine di applicare politiche restrittive di austerità.
Le conseguenze sono ben visibili sulla pelle della maggior parte dei cittadini: deflazione, crollo dei salari, crollo dei consumi, collasso dello stato sociale, in poche parole, la spirale della recessione. Quello che è accaduto ai Paesi dell’Europa meridionale e sta cominciando ad accadere anche a qualcuno dei Paesi settentrionali (per esempio in Finlandia; ma gli stessi operai francesi e tedeschi non se la passano bene) è la trasposizione moderna del colonialismo settecentesco e dell’imperialismo di rapina.
L’Austerità della Banca centrale europea del conte Draghi non è altro che l’interpretazione in chiave moderna della decisione del 1750 di sopprimere la carta moneta in Pennsylvania da parte del Banco di Inghilterra per stroncare la nascente economia americana, che avrebbe minacciato il sistema economico della “Madre patria”.
Una Nazione che non vuole indebitarsi fa rabbia all’usurocrazia, ed è per questo che alla guida dei paesi “democratici” troviamo sempre fedelissimi del sistema finanziario.
La gerarchia finanziaria, attraverso l’organo di Bce e Fondo monetario internazionale, ha imposto agli Stati europei (chi più e chi meno) una contrazione violenta della circolazione monetaria e un indebitamento vertiginoso per costringere i debitori a rilasciare la loro proprietà.
Non bisogna stupirsi se la Grecia è costretta a vendere alla Germania 14 aeroporti strategici e non mi stupirò quando Renzi venderà, in periodo di saldi, gli Uffizi e il Colosseo ad un ‘herr’ Schmidt qualsiasi.
Attraverso l’arma del debito l’Italia sta diventando quello che l’India è stata per la Gran Bretagna, un serbatoio di manodopera a basso prezzo da esportare in Germania e in Francia.
Renzi e il Partito Democratico abbiano almeno l’accortezza di cambiare il primo articolo della Costituzione italiana coerentemente con la propria politica. Si leggerà, Articolo 1: “L’Italia è una colonia dell’Unione europea, fondata sulla menzogna”.

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Fabio Zangara


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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