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E ora, dicono, l’Europa si commuove nel vedere il corpicino del piccolo Aylan – così sembra il vero nome – e si spaventa, forse, nel contemplare la marcia silenziosa dei migranti che camminano silenziosi sulle autostrade che uniscono Ungheria e Austria. Scrive Elena Loewenthal, scrittrice e somma traduttrice di numerosi testi ebraici, su La stampa del 5 settembre, commentando l’esodo dei siriani attraverso le autostrade: “ Non avevano altro modo per arrivarci, se non le loro gambe. ” Percorrere cioè un “non luogo” come il deserto “per arrivare a una specie di salvezza”.

E dunque tutte le polemiche sul cosiddetto “infelice” paragone che il Sindaco di Ferrara ha instaurato tra Shoah e Migranti trova una decisa confutazione da chi è voce non secondaria del pensiero ebraico. Exodus dunque come gli Ebrei che condotti da Mosè traversano il mare per giungere a una terra promessa che nel caso dei migranti è solo speranza e forse speranza che andrà delusa.

Così trova un  suo senso anche l’operazione della scritta identificativa con cui i pennarelli della polizia cèca hanno scritto un numero o un nome anche sulle braccine dei bimbi profughi. Di per sé un’operazione non scandalosa. Si pensi che ai giovani universitari americani che non hanno compiuto i ventun anni e quindi non possono comprare alcolici viene scritta sulla mano la data di nascita. Ma per l’Europa e in quella parte d’Europa che ha visto e ospitato la subumanità dei Lager, il simbolo del marchio produce – e giustamente – un brivido di angoscia. Certo. Siamo nel campo del simbolo e non della Storia usata nella sua algida oggettività. Ma i simboli contano e sono valore aggiunto alla cronaca.

E’ stato detto che dopo Auschwitz la nozione del male assoluto era stata raggiunta e confermata; quindi niente sarebbe più paragonabile a quell’orrore. Ma se il male assoluto è imparagonabile, allora sarà giusto proporre un simbolico accostamento per capirne la portata. Ma questo non inficia la sua unicità. Per via di accostamento simbolico è dunque possibile accostare Shoah e tragedia della migrazione: non solo questa, ma le tante che la Storia ci ha consegnato. E quindi condivisibile non solo la conclusione di Loewenthal, ma anche il paragone di Tagliani. Conclude la scrittrice: “Loro sono stranieri, vengono da luoghi lontani che non conosciamo e di cui sappiamo o facciamo finta di sapere molto poco.”

Molto poco come pervicacemente ripete Salvini che cavalca con estremo successo il sospetto degli ‘itagliani’ verso lo straniero fino a compiere imprese grottesche quali la sua visita al centro di raccolta siciliano, il più grande d’Europa, ammesso e voluto anche dal suo collega Maroni. E allora strappa un amaro sorriso la fulminante definizione sarcastica postata sulla “Stampa” dalla Iena: “Il nome Salvini/ è contradditorio, meglio/ chiamarlo Stermini” Ovviamente con l’accentazione sulla “ì”.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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