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I principali elementi che contraddistinguono l’attuale fase storica sono: la velocità con la quale si mettono in atto i cambiamenti, velocità che genera negli individui e nelle comunità un elevato grado di insicurezza; l’aumento di conoscenze da parte delle masse; la perdita di fiducia verso le Istituzioni e la continua messa in discussione dei poteri: dalla politica, alla Stato. Nel dettaglio, in questi ultimi anni siamo entrati in quella che oggi definiamo crisi economica anche se siamo di fronte ad una parallela crisi sociale e relazionale. Tutto ciò ha generato un ripensamento da parte del “settore pubblico”, e in particolar modo degli Enti Locali, sull’erogazioni dei servizi. La corsa al risparmio degli Enti genera nelle comunità locali un ulteriore grado di sfiducia, che quasi si autoalimenta a causa delle minori risorse e maggiori pressioni da parte degli utenti.

La povertà purtroppo non è più un problema lontano dalla nostra società. Fino a poco tempo fa lo abbiano considerato una situazione propria dei Paesi in via di sviluppo; al contrario sta diventando una emergenza grave anche nei cosiddetti Paesi industrializzati. Il mercato sempre più difficile e le crisi di settore sono nel tempo state sopraffatte da una crisi globale di maggiori dimensioni che sta rendendo molto critico l’intero sistema economico e sociale. In questo periodo è cambiata la composizione della povertà ed è cresciuta la disuguaglianza sia a livello generale nella trasformazione economica della società sia nei risvolti quotidiani della vita.
Gli approfondimenti socio-demografici ed i riscontri di indicatori di disagio rilevano come cresca la crisi e la condizione di nuova povertà si manifesta con preoccupazione in diversi contesti.

Si è passati da una visione tradizionale in cui il livello del reddito rappresentava il principale indicatore ad una moltiplicazione delle cause ed una pluralità di segnali che rendo molto più articolato e complesso il problema; si approda ad una concezione della povertà che coinvolge moltissime famiglie in atteggiamenti spesso contraddittori in cui si squilibrano i bisogni e le necessità in un confuso contesto di costumi sociali. In sintesi si può dire che lo stato di povero oggi deve essere messo in relazione allo standard di vita medio della comunità, che determina quali sono i bisogni sociali essenziali e dunque il concetto di povertà assume un ruolo più complesso.

Non solo i fattori appena descritti generano povertà ma il cambiamento strutturale della nostra società ha evidenziato come più correttamente si possa parlare di vulnerabilità sociale oltre che di povertà. Infatti, mentre negli anni in cui non esisteva il concetto di protezione sociale, era facile individuare chi poteva (o avrebbe potuto) avere problemi economici nella propria vita, ad esempio perché apparteneva a una famiglia disagiata o aveva una bassa scolarità ecc, oggi non è più così ovvio; infatti nel corso della vita di una persona basta un modesto cambiamento a generare crisi di povertà, ad esempio per l’improvviso venir meno di reti sociali.

Per vulnerabilità si vuole qui intendere “una situazione di vita in cui l’autonomia e la capacità di autodeterminazione dei soggetti sono permanentemente minacciate da un inserimento instabile dentro i principali sistemi di integrazione sociale e di distribuzione delle risorse”. Al fine di individuare le principali articolazioni del processo di vulnerabilità, soprattutto della sua componente che si riferisce alle trasformazioni del lavoro.
Siamo ad un passaggio delicato tra comunità e società, tra sociologia e soggettività. Per alcuni siamo in una fase storica in cui la vita sociale si rivolge maggiormente all’interesse e al piacere dell’individuo e si riduce la coscienza del collettivo.
Negli ultimi anni infatti è diventata ricorrente nel discorso pubblico – oltre che nella riflessione delle scienze sociali – la nozione di capitale sociale; il capitale sociale viene richiamato sia in relazione ai problemi dello sviluppo economico, sia riguardo ai diversi aspetti “immateriali” attinenti alla qualità della vita e delle relazioni dei cittadini con gli altri, con le istituzioni e con l’ambiente.

Da un importante studio svolto dall’Istituto Cattaneo alcuni anni fa, emergeva che i differenti tratti della comunità civica si possono riassumere in:
– l’impegno civico, che consiste «nell’interesse per le questioni riguardanti la vita pubblica e la partecipazione ai problemi della comunità»;
– solidarietà, fiducia reciproca e tolleranza per le opinioni altrui;
– le libere associazioni della partecipazione come fondamento della democrazia.

Considerare i valori come materia prima del costrutto del capitale sociale è l’unico modo per uscire dal paradosso dell’azione collettiva. Gli individui entrano in relazioni cooperative quando si riconoscono reciprocamente come fini e non come mezzi. Questo non implica in alcun modo una visione romantica e idealizzata, né evoca eroismo o vocazione al sacrificio.
Il senso civico diventa un beneficio piuttosto che un costo proprio perché il singolo individuo è inserito in un orizzonte di moralità che trasfigura gli altri come valori.
Si intende, infatti, l’espressione «capitale sociale» come risorsa collettiva, indivisibile, dunque come bene pubblico: ognuno ne può beneficiare, senza per questo ridurne la disponibilità per gli altri. Il capitale sociale determina in definitiva il grado di coesione sociale, l’ampiezza e profondità dei legami e la natura delle relazioni con le istituzioni. In breve, l’espressione designa un insieme di caratteristiche che attestano la qualità della società civile.

Cresce infatti una nuova povertà che non è solo carenza di risorse economiche, ma anche perdita di ruolo (e di dignità), mancanza di riferimenti sociale, isolamento, il sentirsi inutile.
Questa nuova povertà sta crescendo molto nella società e sta causando molti disagi e molti problemi. Cresce il numero di persone che hanno perso il lavoro, che non l’hanno trovato, che sono in cassa integrazione, che si sentono inutili e che vivono tensioni sociali e disagi personali; anche questo indica livelli preoccupanti di nuova povertà.
Talvolta la mancanza di denaro è meno grave della mancanza di dignità.

Cresce anche i numero di anziani e di pensionati che vivono questo senso di abbandono e di esclusione dalla vita quotidiana sociale. Bisogna preoccuparsi in modo maggiore di questa tendenza e cercare di contrastarla con capacità reattiva e responsabilità solidale.
Aumenta lo squilibrio tra produzione interna lorda e benessere (qual è la percezione del benessere in stato di povertà?); per questo bisogna cercare di ricreare il benessere anche in situazione di crisi economica (senza ricchezza). Bisogna stare molto attenti al mercato dei prodotti che superano i bisogno dei servizi e che ci propongo il nuovo concetto di marketing del “consumatore difettoso”.

La crisi di una dimensione di politica sociale aumenta la povertà relativa; dalla storia solida si entra nella modernità liquida (come la definisce il sociologo Bauman).

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Andrea Cirelli

È ingegnere ed economista ambientale, per dieci anni Autorità vigilanza servizi ambientali della Regione Emilia Romagna, in precedenza direttore di Federambiente, da poco anche dottore in Scienze e tecnologie della comunicazione (Dipartimento di Studi Umanistici di Ferrara).

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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