Non occorrono molte righe ad Alessandro Marescotti per raccontarci (se vogliamo ascoltarlo) lo sporco che si nasconde dietro la persecuzione giudiziaria del fondatore di WikiLeaks. E ha ragione quando sostiene che una parte consistente del movimento pacifista, e di quello antimperialista, di quello per la pace e per la libertà di espressione, ha preferito tacere su Julian Assange e il suo calvario.
Si sono (ci siamo) solo distratti? Non credo. Occorreva uscire dai facili slogan, avere il coraggio di “legare tutti i fili”, di guardare a tutti gli attori del “grande affare della guerra”. Perché dietro Assange e le scottanti rivelazioni di WikiLeaks (mai digerite dagli americani) ci sono tutti gli affari sporchi della guerra in Afghanistan. E non solo. La guerra, ogni guerra, è prima di tutto un grande affare (per pochi: petrolieri, venditori di armi, generali, governanti in difficoltà nella politica interna ) e orrore e sangue (per chi la subisce e anche per i ‘patrioti’ che vanno a farla).
Un grazie al sito Peacelink che ce lo ricorda ogni giorno.
(Francesco Monini)
Come ha detto Stefania Maurizi, persino il detestato Egitto – liberando Patrick Zaki – è stato capace di mostrarsi più umano del Regno Unito che ha negato la libertà, forse per sempre, a Julian Assange.
Ritenevo che ci fossero principi universali, indiscutibili, inattaccabili e quindi scontati. Principi di umanità da riconoscere anche al “nemico”. In questo caso Assange.
“È la più grande fuga di notizie della storia militare americana: notizie che parlano di civili morti e di cui non si è saputo nulla, di un’unità segreta incaricata di ‘uccidere o fermare’ qualsiasi talebano anche senza processo, delle basi di partenza in Nevada dei droni Reaper (aerei senza piloti), della collaborazione tra i servizi segreti pakistani (Isi) e i talebani. Questo e molto di più, sugli archivi segreti della guerra in Afghanistan, è svelato da Wikileaks – il portale Internet creato per pubblicare documenti riservati – al New York Times, al Guardian e al Der Spiegel.”.
Così scriveva Repubblica il 26 luglio 2010.[Vedi qui]
Come cancellare il diritto alla pace e affermare il diritto alla guerra
Ma poiché mi piace la Svezia, volevo mantenere ancora qualche dubbio. Ho controllato la lista dei partecipanti alla guerra in Afghanistan: la Svezia c’era.
Ma poiché sono un irriducibile filosvedese mi sono detto: “Avrà portato solo barelle, medicine e cerotti”. E invece ecco cosa ho trovato: “Nel 2008, le forze armate svedesi avrebbero voluto che la Svezia inviasse aerei Saab JAS 39 Gripen in Afghanistan, come parte di una campagna di marketing per i suoi caccia da combattimento, si legge sul sito WikiLeaks dove l’organizzazione internazionale fondata da Julian Assange cita un cablato originale trapelato”. [Qui]
Perché Assange, più di tanti amanti della pace che oggi stanno zitti su questa vicenda che riguarda i crimini di guerra degli Stati Uniti, ha saputo dare voce e informazioni al diritto alla pace, così scomodo e antipatico quando si traduce in una messa in piazza delle vergogne di guerra americane, inglesi e svedesi.
Molti dei contrari al diritto alla pace erano stati nel 2002 anche contrari all’educazione al disarmo nelle scuole, tanto che l’apposito documento approvato in sede ONU non è mai stato tradotto in italiano. Fino a quando non lo hanno fatto i traduttori di PeaceLink, basta cliccare qui
ALESSANDRO MARESCOTTI
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Cari lettori,
dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.
Se già frequentate queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “giornale” .
Tanto che qualcuno si è chiesto se i giornali ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani. Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport… Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito. Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.
Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e riconosce uguale dignità a tutti i generi e a tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta. Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia; stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. Insomma: un giornale non rivolto a questo o a quel salotto, ma realmente al servizio della comunità.
Con il quotidiano di ieri – così si diceva – oggi “ci si incarta il pesce”. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line, le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.
Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e di ogni violenza.
Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”, scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle élite, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.
La redazione e gli oltre 50 collaboratori scrivono e confezionano Periscopio a titolo assolutamente volontario; lo fanno perché credono nel progetto del giornale e nel valore di una informazione diversa. Per questa ragione il giornale è sostenuto da una associazione di volontariato senza fini di lucro. I lettori – sostenitori, fanno parte a tutti gli effetti di una famiglia volonterosa e partecipata a garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano che si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori, amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.
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Francesco Monini
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