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di Valerio Lo Muzio

“Faccio fatica ad arrivare a fine mese” ammette sconsolato Younas, un pakistano di 42 anni, dal 2000 in Italia. Younas fa parte di quell’invisibile esercito di portapizze che quotidianamente invade la nostra città. Accantonati ai margini della società, invisibili sì, perché ci ricordiamo di loro solo in quei pochi istanti che trascorrono tra il suono del campanello e il pagamento della consegna, quando, fame permettendo, finalmente riusciamo a guardarli negli occhi. Younas lavora in una pizzeria del centro, mediamente non più di tre ore al giorno – “perché non c’è molto lavoro”, dice – e guadagna 5 euro l’ora, con i quali deve pagarsi la benzina del motorino. “Di quei 15 euro, a fine giornata – racconta – non rimane poi molto”. Lavorare come porta pizze non è certo economico o redditizio, basti pensare che sul conto del fattorino non grava solo il costo della benzina per le consegne, ma anche l’acquisto del motorino, il pagamento dell’assicurazione e del bollo oltre ai costi di manutenzione.
Amir, anche lui originario del Pakistan, è più giovane, ha 30 anni e consegna le pizze in motorino, lui è “più fortunato di altri – dice, perché lavora 10 ore al giorno e guadagna 35 euro”, ma anche lui deve pagarsi la benzina. Ogni volta che proviamo a parlare di contratto di lavoro, tutti i portapizze, guardati a vista dai titolari dei vari locali, spaventati assicurano di essere in regola.
E’ comodo voltare le spalle e far finta di nulla, a pagare il prezzo dello sfruttamento, sono loro, gli emigrati : invisibili per i sindacati, invisibili per l’ufficio del lavoro, sfruttati dai padroni dei locali, spesso anche loro emigrati, e per nulla sensibili alle loro pur minime necessità. Per Javed, venuto in Italia nel 2002 da Multan, in Pakistan “gli italiani sono un po’ tirchi, sono pochissimi quelli che lasciano la mancia” ed è costretto a fare altri lavori perché con “5 euro all’ora non si riesce a vivere”. Pervez ha una moglie e tre figlie in Pakistan e con gli occhi malinconici racconta di “non riuscire più a mandare soldi alla famiglia”, ha lavorato come metalmeccanico per 8 anni, finché con la crisi crescente è stato licenziato e si è trovato di colpo senza lavoro. “Ma non mi sono perso d’animo – racconta – mi sono messo a cercare lavoro, però tutte le cooperative alle quali mi sono rivolto preferivano assumere italiani, oppure cercavano gente con esperienza”. Alla fine ha dovuto cedere a rivolgersi ad una pizzeria vicino all’aeroporto, “ho comprato un motorino usato per 500 euro e ho iniziato a far consegne, certo con 15 euro al giorno riesco a malapena a pagare l’affitto della casa che condivido con altre 5 persone”.
L’esiguità delle paghe i costringe ad una vita che definire precaria è un eufemismo a partire dalla casa: convivono nella periferia della città, spesso con altri connazionali, più sono e meno pagano, questo è il lato positivo, però ovviamente, più sono e peggio stanno. Pervez però è tenace e non perde le speranze “il mio sogno – dice – è riuscire a far venire qui la mia famiglia dal Pakistan, perché un uomo che vive una vita senza famiglia non vive una vita dignitosa”, poi il pizzaiolo gli porge 5 pizze, Pervez sale in sella al suo motorino, saluta e scompare in mezzo al traffico, smettendo di essere un uomo con una storia tormentata alle spalle e ritornando ad essere un’invisibile portapizze.

[© www.lastefani.it]

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Redazione di Periscopio


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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