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Bella quanto crudele: è questa l’immagine arrivata fino a noi di Marfisa d’Este, una donna che secondo la leggenda era in grado di attirare, con il suo fascino, numerosi amanti sprovveduti, per poi ucciderli facendoli cadere in terribili pozzi a rasoio, profonde cavità ricoperte di lame. Ma cosa c’è di vero in tutto questo? Ripercorriamo la sua storia e troveremo indizi inaspettati e sorprendenti.
Partiamo dal nome: il marchese Francesco d’Este, nato da Alfonso I, sceglie di chiamare le sue figlie come due famose eroine dell’Orlando furioso, Marfisa e Bradamante. Vengono alla luce a poca distanza l’una dall’altra, ma comunque prima del 1559, anno in cui l’amorevole padre fa costruire proprio per loro la Palazzina ancora oggi nel centro storico di Ferrara. Ecco dunque il primo elemento: possiamo ipotizzare che il nome scelto per la nobildonna sia stato fondamentale nella memoria collettiva, che iniziò a confondere i profili della mitica guerriera e della principessa d’Este.

Passano gli anni e le due giovani, grazie all’educazione ricevuta, entrano nella vita di corte ferrarese, con il benestare del pontefice Gregorio XIII e del duca Alfonso II. Ma presto sopraggiunge inevitabile un anno determinante per l’esistenza di Marfisa, il 1578. E’ il 12 febbraio quando, all’età di 61 anni, muore il padre Francesco, lasciando nel testamento l’indicazione di affidare la primogenita alle cure di Leonora, sorella del duca, e di farla entrare in possesso dell’eredità non appena avesse sposato un membro della casata estense. Il 5 maggio, infatti, Marfisa si congiunge in matrimonio con il cugino Alfonsino di Montecchio, che però è debole di salute e la lascia dopo appena tre mesi, morendo a soli 17 anni. Marfisa, tuttavia, è una donna di mondo, e nonostante il lutto continua a partecipare pienamente alla vita della corte. Così, mentre lei pensa al divertimento, Alfonso II, suo tutore, si impegna nell’organizzazione di un nuovo matrimonio, questa volta con Alderano Cybo, erede dello Stato di Massa e Carrara. Il contratto viene stipulato nel gennaio del 1580, e il successivo 10 aprile avvengono le nozze. Ma dobbiamo fermarci nuovamente e prendere nota: non si può escludere che l’incredibile morte del primo marito, in giovanissima età, abbia contribuito a gettare sospetti sulla poco più che ventenne Marfisa, che non sembrò affatto colpita dall’accaduto.

Gli anni successivi al matrimonio sono anni ricchi di viaggi e nuovi contatti per la principessa ferrarese, sempre più attiva nel preparare incontri, mascherate, recite e gite. E nel 1581 diviene anche mamma: i due daranno alla luce in tutto una figlia e sette figli, l’ultimo dei quali nel 1594. Una serenità destinata a durare poco, perché un’altra data decisiva sta per avvicinarsi: nel 1598 gli Este vengono cacciati dalla città di Ferrara, per la devoluzione dello Stato alla Chiesa. Un avvenimento che tocca solo in parte Marfisa: in virtù del grande legame che unisce la famiglia Cybo con il papa Clemente VIII, rimane indisturbata e rispettata nella sua città natale. Sono questi anni silenziosi, in cui inaspettatamente conduce una vita fin troppo ritirata nella sua Palazzina, fino alla morte, avvenuta nel 1608, due anni dopo quella del marito. E ci troviamo davanti al terzo indizio: un’improvvisa vita ritirata, anni in cui non si è a conoscenza di cosa realmente avviene all’interno di quelle mura, hanno alimentato quell’alone di mistero che continua ad avvolgere Marfisa d’Este. Sono stati forse questi gli anni incriminati, gli anni delle insensate torture?

In effetti, c’è da dire che la sua immagine violenta e assassina è del tutto recente: è dall’Ottocento che ci viene dipinta come una sadica amante, oltre che come una donna affascinante, dalla personalità singolare ed estroversa, caratteristiche queste che riscontriamo già in documenti a lei contemporanei. Ma non è finita qui. L’abbandono in cui fu lasciata la Palazzina da lei abitata diede vita a un’altra leggenda, che riguarda noi in prima persona: c’è chi giura di aver visto, ancora oggi, il suo fantasma aggirarsi in quelle stanze e addirittura uscire per strada, a notte fonda, su un cocchio trainato da cavalli bianchi, trascinando dietro la sua corsa una schiera di amanti ormai esanimi…

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Ivan Fiorillo

“Lo Scettico”: un divulgatore non convenzionale alla ricerca della verità.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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