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da: Ufficio Stampa Bologna Jazz Festival

Un quartetto all stars che è un vero asso nella manica: sono i James Farm, con la stella planetaria del sax Joshua Redman assieme ad Aaron Parks (pianoforte), Matt Penman (contrabbasso) ed Eric Harland (batteria). Questa è la carta che il Bologna Jazz Festival sfodera martedì 10 novembre per l’unica serata della sua decima edizione che si terrà al Teatro Duse (inizio concerto alle ore 21:15). Una collaborazione di titani del jazz capaci di fondere assieme vigorose scorribande improvvisative e un sognante abbandono alla forma-canzone.
Per chi vuole proseguire col jazz after hours, alle ore 23 al Take Five Genuine Music Club grazie all’organizzazione dell’Arci Bologna si esibirà il Quartet Diminished: una jazz band tutta iraniana che promette un incontro di linguaggi, ritmi e suoni afro-americani e medio-orientali.
Il Bologna Jazz Festival è organizzato dall’Associazione Bologna in Musica in convenzione con Comune di Bologna e con il contributo di Regione Emilia-Romagna, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Fondazione Carisbo, Gruppo Unipol e del main partner Gruppo Hera.
James Farm è una sorta di collettivo musicale che raccoglie alcuni dei nomi più significativi del mainstream contemporaneo: il sassofonista Joshua Redman, il pianista Aaron Parks, il bassista Matt Penman e il batterista Eric Harland. Una band che si è costituita intorno a una comune sensibilità per il jazz ma anche per la forma-canzone, il groove e l’attenzione al suono contemporaneo.
Quando nel 2009 il gruppo cominciò a esibirsi nei festival (la prima testimonianza su CD del loro lavoro, James Farm, arrivò solo nel 2011) Redman, Harland e Penman avevano già suonato insieme nel San Francisco Jazz Collective, mentre Aaron Parks si era avvalso della stessa ritmica per il suo CD Invisible Cinema (Blue Note 2008). Il nuovo disco del gruppo, City Folks (2014), è una vera prova di maturità: l’incisiva coesione dell’insieme, la fibrillazione ritmica, gli interventi solistici incastonati in un superbo interplay, la raffinatezza urbana del contemporary jazz della east coast trasportata in una dimensione di sublime accessibilità per l’ascoltatore.
Joshua Redman (nato nel 1969 a Berkeley, California) iniziò a farsi notare nel mondo del jazz nei primi anni Novanta. All’epoca lo aiutò l’essere il figlio del celeberrimo sassofonista Dewey Redman. Ma prima che questo vantaggio si trasformasse in un’ombra onnipresente, Joshua sviluppò uno stile tutto suo, fortemente legato alla tradizione, con un senso infallibile per la costruzione melodica, iniziando un’inarrestabile ascesa artistica.
Il suo trampolino di lancio fu la Thelonious Monk Competition, vinta nel 1991. Da quel momento la gavetta fu breve, e presto Redman poté mostrarsi a capo di propri gruppi (tanto per farsi un’idea, la sua prima band stabile annoverava Brad Mehldau, Christian McBride e Brian Blade, tutti destinati al successo che ora sappiamo).
Dopo numerosi dischi pubblicati per le etichette del gruppo Warner e collaborazioni con Ray Brown, Dave Brubeck, Chick Corea, Jack DeJohnette, Bill Frisell, Charlie Haden, Herbie Hancock, Milt Jackson, Elvin Jones, Quincy Jones, Pat Metheny e innumerevoli altri artisti (anche classici e rock: su tutti i Rolling Stones), oggi Redman è tra i tenorsassofonisti più ammirati del panorama internazionale. Assieme a Brad Mehldau (col quale tra l’altro collabora anche in duo), lo si può anzi considerare uno dei musicisti più rilevanti tra quelli emersi nel corso degli anni Novanta.
Nato nel 1983 a Seattle, Aaron Parks ha frequentato la Manhattan School of Music e già durante gli studi iniziò a suonare nella band di Terence Blanchard, con cui ha registrato diversi album. Fu durante un tour con Kurt Rosenwinkel che entrò per la prima volta in contatto con Harland e Penman.
Matt Penman è originario di Auckland (Nuova Zelanda). Una borsa di studio lo portò alla Berklee nel 1994. Qui si fece notare, iniziando la carriera da professionista: ha suonato con Kurt Rosenwinkel, Kenny Werner, Brad Mehldau, Chris Cheek, Brian Blade, Seamus Blake, Mark Turner…
Eric Harland è nato nel 1978 a Houston (Texas). Dopo aver frequentato la Manhattan School of Music ha cominciato una carriera che con fulminea rapidità lo ha portato a registrare decine di dischi con nomi del calibro di Terence Blanchard, McCoy Tyner, Charles Lloyd, Dave Holland, Ravi Coltrane, Greg Osby. Ma la sua attività di sideman non si ferma qui: ha suonato tra gli altri con Betty Carter, Joe Henderson, Wynton Marsalis, Michael Brecker, John Patitucci…
Teatro Duse: Via Cartoleria 42, Bologna
Informazioni:
Associazione Bologna in Musica
tel.: 334 7560434
e-mail: info@bolognajazzfestival.com
www.bolognajazzfestival.com
Presidente: Federico Mutti
Direttore artistico: Francesco Bettini
Biglietti:
Joshua Redman “James Farm”: da 20 a 36 euro
I biglietti sono soggetti a diritto di prevendita
Riduzioni:
Gli studenti del Conservatorio “G.B. Martini” di Bologna e del Liceo Musicale “L. Dalla” di Bologna possono accedere agli spettacoli al prezzo speciale di € 10.
Sconto* del 10% riservato a soci Touring Club, dipendenti Gruppo HERA**, possessori abbonamento annuale Tper Bologna 2015, giovani fino a 26 anni
Tutti i biglietti soggetti a riduzione sono acquistabili esclusivamente presso le biglietterie dei teatri presentando il titolo che dà diritto alla riduzione*.
* Le scontistiche non sono cumulabili / Info: ticket@bolognajazzfestival.com
** I dipendenti del Gruppo Hera che vogliono avvalersi della riduzione del 10% sul prezzo dei biglietti dovranno esibire alla biglietteria del teatro il proprio badge aziendale.
Bologna Jazz Card:
Socio Giovane (fino a 26 anni) – 10 euro
Socio Ordinario – 25 euro
Socio Sostenitore – 50 euro
acquistabile o rinnovabile sul sito www.bolognajazzfestival.com
Vantaggi esclusivi per i Soci possessori della Bologna Jazz Card:
– sconto del 20% sull’acquisto di singoli biglietti presso le biglietteria dei teatri
– speciali convenzioni con i jazz club affiliati al Festival.
Prevendite:
– sul sito www.vivaticket.it e su tutto il circuito Viva Ticket (accessibile anche con link dal sito del festival)
– nelle biglietterie dei teatri Arena del Sole e Duse
Club:
Si consiglia la prenotazione. Rivolgersi direttamente al locale di riferimento.

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di Piermaria Romani

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Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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