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Si chiama Martina Bagnoli ed è un raro caso di ‘rientro dei cervelli’: nata a Bolzano, si è laureata in storia dell’arte a Cambridge e nel 1999 ha conseguito il PhD con lode alla Johns Hopkins University di Baltimora; esperta di arte medievale, dal 2003 ha lavorato presso il Walters Art Museum di Baltimora, e vanta una vasta esperienza in musei statunitensi, tra i quali la National Gallery of Art di Washington. Martina Bagnoli fa parte della rosa di venti direttori di musei italiani nominati nell’agosto 2015 nell’ambito della riforma Franceschini: è la nuova direttrice della Galleria Estense di Modena. Ma non solo. Forse non tutti i cittadini ferraresi sanno, infatti, che dall’ottobre 2015 sono nate le Gallerie Estensi: vero e proprio polo museale regionale su più sedi che, oltre al museo modenese, comprende la Biblioteca Estense e il Lapidario Estense di Modena, il Palazzo Ducale di Sassuolo e, infine, la Pinacoteca Nazionale di Ferrara.
Il primo incontro del ciclo “Il museo. Dentro e intorno” – organizzato per il secondo anno consecutivo da Dipartimento di Studi Umanistici e TekneHub dell’Università di Ferrara, con la Fondazione Ferrara Arte e i Musei Civici di Arte Antica – è stata l’occasione per Bagnoli di incontrare il pubblico ferrarese e illustrare le linee guida del proprio mandato: in altre parole cosa dovremmo aspettarci d’ora in poi al primo piano di Palazzo Diamanti.
Si capisce fin da subito che c’è aria di cambiamento. Bagnoli ha iniziato affermando che quando i suoi colleghi statunitensi sono venuti a sapere della sua nomina si sono subito complimentati, ma non per la bellezza del patrimonio che avrebbe dovuto gestire, bensì “perché non avrei mai dovuto giustificare il mio operato”. In Italia “non c’è bisogno di spiegare cosa sia la storia dell’arte”, mentre negli Stati Uniti “non sanno cosa sia uno storico dell’arte”; tuttavia “un paese che mette costantemente in dubbio le discipline umanistiche” chiedendo loro di giustificarsi “con un lavoro pratico” ha “musei fra i più belli del mondo”, mentre nel nostro paese “la storia dell’arte è naturale”, ma i musei faticano.
Secondo lei il motivo è che “a tutt’oggi il museo d’arte in Italia è la vetrina degli storici dell’arte che mettono in mostra il proprio sapere”, purtroppo però la “storia dell’arte che mostra se stessa” crea musei “contemplativi” nei quali “si deve saper guardare da soli” e che “dialogano con un pubblico ristrettissimo”. Ecco perché la visita al museo è ancora sentita “come un obbligo sociale” ed ecco perché “ci si va una volta e poi basta”.
Bagnoli allontana subito facili strumentazioni: il punto non è il numero dei visitatori, che è importante, ma non può certamente essere “l’unica raison d’être” di un museo. “I nostri musei rischiano di rimanere vuoti” e la sfida è evolversi, rimanere al passo con il proprio pubblico futuro che, sottolinea Bagnoli, “non avrà studiato storia dell’arte a scuola e sarà di varia provenienza etnica”. Un museo nazionale “deve sforzarsi di rendere comprensibile il suo contenuto a tutti” e questo “non significa essere banali”, ma “saper comunicare, quindi saper rendere concetti difficili in modo facile”, “impegnarsi a capire come far capire”.
Martina Bagnoli insomma concepisce il museo come “luogo di apprendimento”, dove “poter rendere in modo esperienziale concetti complessi”, utilizzando con consapevolezza le nuove tecnologie per aumentare la fruizione da parte del pubblico, per esempio con la digitalizzazione del patrimonio, la realtà aumentata e la creazione di visite e percorsi guidati personalizzati a seconda dell’utenza. Lo scopo deve essere “creare un legame” fra museo e visitatori, per far sì che questi ultimi tornino più volte e comprendano che quel patrimonio è loro. Questa è la strada: fare “tutela attraverso la valorizzazione”, la conoscenza e la consapevolezza del patrimonio contro l’oblio che “è il più grande nemico della tutela, perché quando le cose perdono di significato muoiono”.
Come non essere d’accordo con questa idea di museo inclusivo e partecipato, come luogo in cui creare e consolidare giorno per giorno il legame con la comunità di riferimento? Non si può fare altro che sperare che quest’aria di cambiamento spalanchi le porte anche della Pinacoteca di Ferrara.
L’unico piccolo dubbio rimasto al termine dell’incontro è cosa Martina Bagnoli intenda quando parla di “adeguarsi al pubblico”. Non c’è dubbio che la fruizione dei contenuti da parte di una platea più ampia possibile debba essere obiettivo primario e che una delle strade principali sia il divertimento, ma la riforma Franceschini e l’articolo 9 della nostra Costituzione parlano di promozione dello sviluppo della cultura: una volta preso atto delle conoscenze che i visitatori hanno e avranno nel prossimo futuro, compito del sistema museale è dunque anche far crescere queste conoscenze, nell’ambito di un’operazione culturale ad ampio raggio, sfidandoli a volte a fare uno sforzo in più e spingendoli a mettersi in discussione.

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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