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Cucinare, mangiare. Sono attività che accompagnano ogni nostra giornata e occasioni di stare insieme con familiari, amici, colleghi. Roba normale, insomma, che riguarda bene o male tutti, soprattutto in un Paese come questo, dove – per fortuna – il cibo è qualcosa che si prepara con cura, che è memoria del passato, ma che può essere anche scoperta e ricerca. Poi c’è la tv, momento di relax per chi la guarda e grande vetrina per chi ci finisce dentro. A unire il tema del cibo con il piccolo schermo è Masterchef Italia. Il programma televisivo ora in onda il giovedì sera su Sky, poi anche su Cielo per chi ha l’antenna digitale.
Il bello di Masterchef è che prende queste due cose, cibo e tv, e riesce a farle stare insieme con successo, capacità di intrattenimento e coinvolgimento degli spettatori. L’abbinamento del cibo e della televisione rimanda a un altro accostamento, quello tra “pane e coraggio” reso poetico dalla canzone di Ivano Fossati. Perché il pane è il cibo, appunto, e il coraggio può essere anche quello della ribalta che ti fa andare lì, al vaglio dei riflettori, degli sguardi e dei giudizi severi dei tre ormai celeberrimi giudici Carlo Cracco, Bruno Barbieri e Joe Bastianich. I concorrenti sono uomini e donne, giovani e anziani, con culture e origini diverse. E in un mondo in crisi economica e di emergenza lavoro, come quello che stiamo vivendo, diventa più che mai di attualità l’accostamento tra pane e coraggio e, quindi, il tema cruciale che sta sotto a Masterchef.
In questa nuova, terza edizione partita da poche settimane c’è una componente locale che rende il programma ancora più vicino: il giovane concorrente di Cento, provincia di Ferrara. Si chiama Alì Hadraoui, 18 anni, studente, T-shirt mimetica, capelli tagliati con la cresta morbida al centro, occhi scuri e voglia di farcela sotto al grembiule. Alì è nato a Cento come la sua mamma; il suo papà viene da Medicina; tutti i suoi bisnonni dal Marocco. Un connubio perfetto di locale e globale, con Alì che racconta come da bambino in cucina si divertisse a impastare pizza e pane fino a specializzarsi in uno dei piatti forti della cucina emiliana: pasta fresca in forma di tagliatelle, lasagne, cappellacci di zucca. Una volta terminate le scuole medie Hadraoui, questa passione, decide metterla a frutto per il suo futuro. Si iscrive all’istituto alberghiero Vergani di Ferrara e poi passa all’alberghiero Bartolomeo Scappi, sede di Casalecchio. “Lì – spiega – insegnava anche Bruno Barbieri; come professore ho avuto proprio un suo collega e amico”. Alla prima prova selettiva, che in tv non si vede, il giovane centese porta un piatto di salmone grigliato con un accompagnamento di olive verdi e pane profumato, impastato a casa con prezzemolo, salvia, basilico e origano e che poi in studio lui grattugia nel piatto.
Partito insieme ad altri 15mila, Alì arriva in tv con i 100 migliori ed entra nel gruppo dei primi 50. Passa la prova successiva, in parte ripresa dalle telecamere, grazie a un altro piatto, che è un omaggio alle origini della famiglia, la “bastella”.Una sorta di torta salata marocchina che lui descrive come una “cocotte di pasta fillo con mandorle, acqua di rose, sale, zucchero, pollo e uova”. Barbieri lo loda come “mago delle spezie” per la sua capacità di equilibrare gli aromi e tira fuori ad Alì un’esultanza che non esprimeva più da quando era bambino e che gli fa improvvisare un’ acrobatica ruota in mezzo allo studio.
Le selezioni successive lasciano Hadraoui fuori dalla master-class, ma ormai il sogno è innescato. Adesso Alì è tutto preso dall’organizzazione di una cena di beneficenza a Casumaro, paese ferrarese a pochi chilometri da Finale Emilia (Modena), che ha sentito molto le scosse di terremoto del 2012. “La cena – dice Alì – verrà fatta a fine febbraio e il ricavato servirà per la ricostruzione dell’asilo del paese di Mirabello”.
Barbieri dice: “Non dimenticate mai di mettere in ogni piatto la personalità, il coraggio e il buon gusto che vi hanno portato fin qui”. E con pane e coraggio Alì prende in mano la sua vita, mentre noi tifiamo la forza del sogno. E mettiamo su Fossati in sottofondo a ricordarci che “pane e coraggio ci vogliono ancora/che questo mondo non è cambiato”.

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Giorgia Mazzotti

Da sempre attenta al rapporto tra parola e immagine, è giornalista professionista. Laurea in Lettere e filosofia e Accademia di belle arti, è autrice di “Breviario della coppia” (Corraini, Mantova 1996), “Tazio Nuvolari. Luoghi e dimore” (Ogni Uomo è Tutti Gli Uomini, Bologna 2012) e del contributo su “La comunicazione, la stampa e l’editoria” in “Arte contemporanea a Ferrara” sull’attività espositiva di Palazzo dei Diamanti 1963-1993 (collana Studi Umanistici Università di Ferrara, Mimesis, Milano 2017). Ha curato la mostra “Gian Pietro Testa, il giornalista che amava dipingere”

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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