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da: Maria Cristina Nascosi Sandri

Son passati nove anni ormai dalla scomparsa di don Franco Patruno, una delle poche eccellenze intellettuali della ferraresità degli ultimi decenni, avvenuta nel mese di gennaio di 9 anni fa.
Figura indimenticabile, eppure non ricordata mai quanto sarebbe giusto, è comunque facilmente associabile nel ricordo – almeno di chi scrive – ad alcuni grandi della pittura di cui volle occuparsi, molte volte nella vita.
E così accade che anche la mostra aperta da poco a palazzo Chiablese di Torino, ‘Matisse e il suo tempo’, riporti alla memoria alcuni scritti di don Franco ed in particolare quelli sulla religiosità di Matisse e di Chagall pubblicati in un preziosissimo manualetto di molti anni fa, Chagall e Matisse: due templi della spiritualità in Provenza, edito da Book , in cui descriveva da par suo le sublimi opere matissiane racchiuse nella Chapelle du Rosaire, la Cappella Matisse a Vence, in Provenza, raro esempio di arte totale e mono-autoriale.
La mostra di Torino è curata da Cécile Debray del Centre Pompidou di Parigi, il catalogo pure è a cura sua, pubblicato da 24 ore Cultura e sarà in parete fino al 15 maggio 2016: sarebbe stata particolarmente grata a Patruno – conoscendolo – perché il suo fil rouge descrive una sorta di ‘spirito del tempo’, quello che unisce Matisse e gli altri artisti e che coinvolge momenti finora poco studiati, come il Modernismo degli anni Quaranta e Cinquanta.
Racconta, infatti, del legame tra il pittore ed altri pittori suoi contemporanei.
Esposte nelle sale torinesi cinquanta opere di Matisse (quadri, sculture e le 20 tavole «Jazz» realizzate con la tecnica dello stampino) e 47 altri artisti, tra cui Modigliani, Severini, Mirò, Gris, Dufy, Le Corbusier, Masson e Braque.

A proposito del lavoro per Jazz, Matisse ebbe a dire:
Ho realizzato queste pagine di scrittura per pacificare le reazioni simultanee delle mie improvvisazioni cromatiche e ritmiche, pagine a formare come un ‘fondo sonoro’…

Alcune tra le venti tavole del testo di Jazz erano state esposte e presentate ad Artelibro di Bologna, nel settembre del 2012, nell’edizione in fac-simile della Electa: lo splendido libro di Henri Matisse è, senza dubbio, il più bel libro d’artista pubblicato nel corso del Novecento.
Uscito nel 1947 da Tériade, raffinato editore d’arte parigino ( lo stesso della rivista Verve ), fu stampato in tiratura limitata, solo 250 copie. Quelle oggi ancora in circolazione, in alcuni musei e presso collezionisti privati, hanno un inestimabile valore di mercato.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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