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E’ vero, l’Italia è stata lasciata sola, mentre la grande onda immigratoria è un problema e una responsabilità comune di tutti i paesi europei e dell’intero Occidente. Ma il ‘sistema Salvini’ , la chiusura dei porti, incammina il nostro paese verso una deriva illiberale, verso un’autarchia miope e suicida.

Per tutta la notte, poi sotto un sole infuocato, e non sappiamo ancora per quanto, la nave Aquarius è andata avanti e indietro tra l’Italia e l’isola di Malta con il suo carico dei 629 migranti. Abbiamo visto i video e le foto dei salvataggi in mare, le facce impaurite, i bambini, le donne incinte. Sono lì, aspettano. Il ministro dell’Interno Salvini ha chiuso i porti, decidendo di passare dalle parole ai fatti. Il suo è un braccio di ferro, una prova di forza, un messaggio non tanto a Malta, che i porti li ha già chiusi da un pezzo, ma all’intera Europa che “ha lasciato sola l’Italia davanti all’emergenza sbarchi”.

Ora, ci sono tanti modi per ‘far pressione’ per costringere l’Europa a farsi carico di una responsabilità che, ovviamente, non è solo italiana, ma europea, collettiva, di tutto il ricco Occidente. Probabilmente Pannella avrebbe iniziato uno sciopero della fame e della sete, qualcun altro avrebbe bloccato l’invio dei contributi italiani all’Europa, Matteo Salvini ha scelto invece un metodo antico – e il più odioso – lo stesso utilizzato da Billy the Kid, Renato Vallanzasca, o da qualsiasi rapinatore di banche. Per compiere la sua impresa, non ha puntato solo la pistola, ma ha preso degli ostaggi.
Mentre arrivano notizie di altre navi, altre centinaia di disperati, in viaggio per il Mediterraneo in cerca di approdo – per buona sorte la nuova Spagna del socialista di Sanchez ha aperto i suoi porti alla nave Aquarius – il nuovo governo giallo-verde vive la sua prima crisi d’identità. Alcuni esponenti pentastellati, e tantissimi simpatizzanti, non vogliono proprio mandar giù la ricetta draconiana imposta dalla Lega.

Intanto, sui social impazzano gli hashtag contrapposti. Da una parte #chiudiamoiporti, dall’altra #portiaperti , o anche #umanitaperta. E troppo semplicistico? Certo, scrivono i commentatori intelligenti, i problemi non si risolvono con gli hastag o con gli slogan, specie un tema enorme e complesso come quello della gestione di una imponente ondata migratoria. O quello di un’Europa mai come oggi incerta, divisa, periferica, sbeffeggiata: dalla Russia di Putin come dall’America di Trump.
Però – questa almeno è la mia idea – a volte, poche volte, nella storia di una nazione, prima ancora di approfondire, analizzare, mediare, viene il bianco e il nero. Occorre cioè prendere una posizione netta. Schierare la propria coscienza, i propri atti, la propria vita da una parte o dall’altra.
E’ successo con il fascismo e la Resistenza: rimanere buoni e zitti, accettare un regime illiberale o promuovere – e muoversi – per la libertà e la democrazia. E sta succedendo oggi. Il bianco e il nero. Senza sfumature. O vogliamo un’Italia blindata, sempre più vecchia e più povera di libertà (#chiudiamoiporti). Oppure crediamo in un’Italia aperta, coraggiosa, accogliente, capace di dialogo e integrazione (#portiaperti).
Le prossime settimane e i prossimi mesi non ci diranno solo o tanto la tenuta o la rottura dell’alleanza giallo verde. Morto un governo se ne fa un altro, e dalle nostre parti i governi muoiono molto più spesso dei papi, senza portare a necessarie sciagure. Ci aspetta invece un confronto – e uno scontro – molto più importante. Un quesito semplice quanto decisivo. Quale idea di Italia e di democrazia abbiamo in testa? Porti aperti o porti chiusi?

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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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