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“Il megalomane differisce dal narcisista per il fatto che desidera di essere potente piuttosto che simpatico e cerca di essere temuto piuttosto che amato. A questo tipo appartengono molti dementi e la maggior parte dei grandi uomini della storia.”
Bertrand Russell

Megalomen, cartone animato giapponese

Magari sei diventato un personaggio grazie ad un’ immagine da cazzone. Però decidi di crescere, di studiare, di applicarti, e questo è encomiabile, anche se ciò non ti rende Frank Zappa, o il Dalai Lama.

Continui a vendere tanti dischi, addirittura più di quelli che vendevi con la vecchia immagine, e questo è obiettivamente un gran colpo. Ti scaricano milioni di volte, tutti ti cercano per intervistarti.  Tutti si abbeverano alle tue parole come se fossi un profeta, interpretano i tuoi testi come se fossero letteratura, politica e tu finisci per crederci. Del resto, non è mica facile starne fuori. Succede a chi non interessa a nessuno, figurati a te che sembri interessare a tutti. Più del Dalai Lama.

Allora vuoi fare le cose sempre più in grande. Le tue idee hanno bisogno di una rappresentazione sempre più gigantesca. Cominci a ragionare come un capitano d’industria, un top manager. Non basta quello che hai ottenuto, devi fare sempre di più. La tua visione del mondo (il tuo ombelico) deve essere imposta al mondo. Deve diventare l’ombelico del mondo, diamine! Non importa se i tir, gli aerei, le ruspe che la trasportano inquinano e spianano il mondo ovunque tu passi. La gigantesca vision che porti in giro lascerà cambiato lo spicchio di mondo dove sei passato, in modo irrimediabile. Puoi farlo pulire, tirare su le cartacce, farlo lavare. Lo hai cambiato lo stesso, con la violenza della tua visione di una grande chiesa che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa. Ma forse è proprio quello che volevi: lasciare un’ impronta indelebile.

 

Vale per te, ma vale per chiunque non riesca più a dire di no agli adepti della propria personale chiesa, e quindi vuole dare una chance a tutti di vedere lo spettacolo, democraticamente (a parte la sezione aristocratica del pacchetto VIP, of course). Se ti vogliono vedere in 500.000 bisogna fare in modo che tutti possano farlo, ma non puoi mica esibirti cento volte in luoghi da cinquemila. Gli U2, che avevano il problema che li volevano vedere 5 milioni di persone, nel 1997 portarono in giro per il mondo un gigantesco logo giallo che richiamava McDonald’s o un megastore, con un’enorme oliva infilata in uno stuzzicadenti e un limone gigante. Un palco di 700 metri, sotto loro che si esibivano sembravano lillipuziani. Voleva essere una parodia della società dei consumi. Ma come puoi essere una parodia della società dei consumi se la stai letteralmente incarnando, con biglietti al prezzo medio di 50 dollari (allora), uno spreco di risorse naturali imbarazzante e un inquinamento da co2 pari a quello di un piccolo stato sovrano? 

“Oi ndemo veder i Pin Floi”
Pitura Freska

Il 15 luglio 1989, data del concerto dei Pink Floyd su una piattaforma galleggiante di fronte a Palazzo Ducale, Venezia, è uno snodo centrale dell’instaurazione del cortocircuito tra realtà e spettacolo. Ci avevano già provato a Pompei, ma lì il connubio non prevedeva la presenza di un pubblico. Anzi, la solitudine della band nell’anfiteatro pompeiano era parte del fascino dell’operazione. Diciassette anni dopo, oltrepassarono lo stargate.Adesso la nuova frontiera dello show gigante – di cui Pink Floyd a Venezia è l’antesignano – è lo spettacolo allestito negli ecosistemi, meglio se delicati. I palazzetti, gli stadi, le aree costruite dall’uomo per quegli scopi (al limite ex ippodromi, ex aeroporti) non bastano più. Non esiste più l’idea che ci sia un posto per ogni cosa, che è poi l’idea del limite, della finitezza, del senso della misura. L’idea, anche, per cui ad un certo punto, in quanto individuo della specie umana, ti accade che muori. L’antropocentrismo deve debordare dentro le aree belle ma fragili (Venezia), dentro gli spazi naturali, li deve conquistare alla sua megalovisione di un mondo biodegradabile e compostabile. E per rappresentare questo mondo, accetta di degradare la natura ad ancella dello spettacolo. Popolare, democratico, ecologico e progressista. Ne sapremo qualcosa anche a Ferrara.

“Lo spettacolo non può essere compreso come l’abuso di un mondo visivo, il prodotto delle tecniche di diffusione massiva di immagini. Esso è piuttosto una Weltanschauung divenuta effettiva, materialmente tradotta. Si tratta di una visione del mondo che si è oggettivata.”
Guy Debord

In copertina: Jova beach 2022

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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