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Cattiva idea quella della ministra Giannini di istituire il premio per il miglior professore dell’anno. Una brutta copiatura di ciò che non può essere copiato, il Global Teacher Prize è unico per significato e consistenza: un milione di dollari.
E poi le parole contano, in particolare a proposito della scuola. Premiare significa ricompensare, presume una gara e una sua monetizzazione. Come tutte le competizioni divide. Premiare è sempre brutto perché esclude, esclude chi non si piazza, dunque, spiazza tutti gli altri: quelli che nella graduatoria ci sono, ma non si sono collocati nell’area degli eletti. Neppure più si premiano i bambini; perché allora ripristinare le medaglie al merito per gli insegnanti? L’impressione è che scarseggino le idee.
La professione docente, come tutte le professioni di relazione, richiede d’essere esercitata da tutti al meglio e non si possono fare gare sull’istruzione e la crescita delle persone, come non si possono fare gare sulla loro cura e salute. Quei denari utilizziamoli per idee migliori.
Noi della Città della Conoscenza ci permettiamo di suggerirne alla ministra una che ci è cara e per la quale ci battiamo, un’idea che non è nostra e che ormai si realizza in diverse parti del mondo.
Dovremmo imparare tutti che apprendere è bello e lo è per tutta la vita; che apprendere non è noioso, non è una condanna, può essere faticoso, ma ne vale la pena. Tutta la nostra vita è fondata sull’apprendimento e molto della sua realizzazione e della sua felicità dipende proprio da quanto tutti siamo impegnati nell’apprendere.
Premiare è una parola che divide, celebrare, invece, unisce, assembla. Perché non celebrare, non festeggiare quanti sono impegnati a studiare, a conoscere, ad apprendere? Dall’infanzia all’età adulta, a scuola come fuori della scuola, nel lavoro, nel territorio, a casa propria, nell’apprendimento formale come in quello non formale e informale. Non è un bene solo per loro: è un vantaggio per tutti.
Si chiama apprendimento permanente, apprendimento per tutta la vita e si celebra con il Festival dell’Apprendimento: i Learning Festival che ormai diverse città nel mondo, da Dublino a Sapporo, celebrano ogni anno.
La buona scuola mi sembra prevedesse il pieno coinvolgimento delle persone per la sua piena realizzazione. Cosa c’è di meglio di un Paese che crede nella conoscenza, nella sua massima diffusione, che incita tutti ad apprendere, a sapere, a conoscere, che è vicino ai suoi giovani che sono impegnati a studiare, che dimostra la propria riconoscenza per gli sforzi che compiono, che è interessato a condividere quanto ogni giorno avviene nelle aule delle scuole e delle università, il Festival dell’Apprendimento è l’occasione per condividere e celebrare tutto ciò, per riflettere, confrontarsi, dialogare e migliorare.
Si tratta di nutrire una partecipazione e uno spirito nuovo intorno ai temi dell’apprendimento, della conoscenza, dei saperi, e certamente realizzare in ogni città il Festival dell’Apprendimento sarebbe un modo per iniziare.
Far scoprire alle città che non vivono delle sole risorse economiche e turistiche, ma in ognuna di esse c’è una risorsa fondamentale che non può restare nascosta, va messa in mostra, onorata e riconosciuta: il capitale umano. È la risorsa dei tanti cittadini, piccoli e grandi, impegnati a studiare, a sapere, a ricercare, dalle scuole alle università, alle biblioteche, ai luoghi dove gli adulti si incontrano per apprendere.
Alleare le città ai luoghi dell’apprendimento diffuso, ai centri di istruzione per gli adulti, alle istituzioni che fanno e forniscono cultura e conoscenza. Far emergere una rete di condivisione, mettersi in mostra, uscire dagli edifici, che sono le scatole chiuse del sapere, la morte degli apprendimenti, mettersi in piazza e festeggiare. Restituire allegria, piacere all’apprendimento è un modo importante anche per stare vicino ai piccoli e ai giovani, par far sentire loro che non li abbiamo condannati al banco dell’aula, ma che loro e quello che studiano, i loro risultati e il tempo di vita che impiegano in classe, sono importanti per tutta la città, per tutto il Paese, che nutrono attese e aspettative, che sono intorno, non per chiamarsi fuori, ma per aiutare, per condividere, per essere solidali.
È così difficile imboccare questa strada di cultura e di sensibilità, anziché incartarsi nei premi e nelle competizioni?
La buona scuola ha bisogno di polmoni nuovi, in grado di respirare un’aria nuova. Scuola, università, saperi, conoscenze possono crescere se il Paese dimostra che ha davvero interesse per tutto ciò, se pensa che contano, che sono indispensabili come l’aria che si respira.
Forse anziché premiare il docente migliore, incominciamo a pensare che chiunque studia e si mette in gioco per apprendere a qualunque età è già migliore e ciò che merita sono il sostegno e la riconoscenza di chi gli sta intorno: il paese, le persone, la città.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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