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Metti un sabato mattina di dicembre, a pochi giorni da Natale, con quelle nostre nebbie che ti accolgono fin dal primo mattino: al risveglio guardi dalla finestra per vedere che giorno che fa e ti accorgi che quel giorno se l’è già preso la nebbia, che l’ha avvolto nel suo manto di umidità, l’umidità di Ferrara, città bagnata sopra e sotto.
Dicono che la nebbia e l’umidità sono un po’ come il carattere dei ferraresi, certo hanno quel colore grigio come la statua, accanto al castello estense, del loro concittadino: il Savonarola.
Io invece preferisco credere che noi siamo una città di fiume, di acque ora interrate. E i fiumi, si sa, vanno verso il mare, si aprono ai grandi orizzonti, ai grandi viaggi, al mondo.
Può, infatti, capitare in questa città che in un giorno così, in cui pare che nulla si veda, accadano fenomeni che potrebbero dare inizio a un’altra storia, di quelle che meritano poi di essere segnate con la loro bella data nei futuri calendari.
Quando la nebbia è così fitta che non si vede – ricordate la nebbia felliniana di Amarcord? – può succedere di seguire qualcuno per evitare di perdersi, di perdere l’orientamento. E se vi fosse accaduto sabato mattina, vi sareste poi potuti trovare un po’ fuori, alla periferia della città, in un luogo straordinario che noi da sempre chiamiamo “Città del Ragazzo”, mi raccomando Ragazzo, con la erre maiuscola, e avreste trovato delle persone a chiacchierare, come si fa a un caffè.
Sperduti nella nebbia vi sareste imbattuti nella luce improvvisa di un World Cafè, come il visitatore di una città altra, che a vostra insaputa vi attendesse oltre i confini delle cortine nebbiose. E invece di scoprire una città con i suoi monumenti e le sue attrazioni turistiche avreste scoperto una città che apprende, una città di abitanti che credono che apprendere è sempre importante.

E così, in un nebbioso sabato mattina, poco prima di Natale, vi siete trovati seduti a un tavolino a chiacchierare liberamente tra persone che incontravate per la prima volta, e forse quelle stesse persone si incontravano anche loro per la prima volta, a parlare di risorse, bisogni, futuro, di un’idea, scritta su un foglio di carta con il suo immancabile hashtag “#FerraraCittàDellaConoscenza”, da comunicare e amplificare tramite la rete virtuale nel mondo di fuori.
Nella luce del world cafè, tra persone che vi sono apparse subito amiche, per la loro disponibilità e il loro desiderio di scambiare con voi idee e pensieri, la città brumosa della nebbia è scomparsa dalla vostra vista e avete fatto il vostro ingresso nella Ferrara Città della Conoscenza, catturati dalla sua forza attrattiva di città che pensa, ragiona, di città che produce, fornisce e diffonde conoscenza.
E vi è accaduto di vivere questa esperienza, forse unica, di persone che liberamente si narrano una città che ancora non c’è, ma della quale sabato si sono messe le prime fondamenta, in uno tra i luoghi storicamente più significativi della città dal punto di vista degli apprendimenti, appunto la Città del Ragazzo.
Vi siete accorti che lì c’era una voglia nuova e diversa di essere città e di essere cittadini, un modo intelligente di discutere, la voglia di riscoprire l’entusiasmo di esserci, di incontrarsi, di contribuire alla crescita e al rinnovamento della propria città, come città sempre più aperta a chi la abita, a chi viene, a chi verrà. Una città che ha voglia di arricchirsi di cose intelligenti, di beni immateriali come i saperi, le conoscenze, le informazioni, le idee. Ecco i nodi robusti di una rete reale di relazioni tra le persone e i luoghi del sapere, di una città che non smette di apprendere, i nodi che allacciano i fili e le maglie di Ferrara Città della Conoscenza. Non so se è la città a essere metafora della rete o viceversa. Certo la metafora della rete appartiene al linguaggio per descrivere la città. La città come rete di servizi, come rete di strade, come rete di opportunità. Ma soprattutto la città come incontro, come rete di persone che intrecciano saperi e conoscenze.
Ecco allora che avete scoperto che quel luogo in cui, fra la nebbia, vi è accaduto di capitare può dar vita a “città che imparano”, può costituire un momento decisivo per il ripensamento dei modi, dei tempi e dei luoghi dell’apprendimento.

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Giovanni Fioravanti

Docente, formatore, dirigente scolastico a riposo è esperto di istruzione e formazione. Ha ricoperto diversi incarichi nel mondo della scuola a livello provinciale, regionale e nazionale. Suoi scritti sono pubblicati in diverse riviste specializzate del settore. Ha pubblicato “La città della conoscenza” (2016) e “Scuola e apprendimento nell’epoca della conoscenza” (2020). Gestisce il blog Istruire il Futuro.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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