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Velika Kladusa (Bosnia Erzegovina) – Nascosti, non spariti. Dove prima erano in 3-400 ora ci sono solo scheletri di accampamenti di fortuna. Lungo le strade di Velika Kladusa, cittadina bosniaca al confine con la Croazia, non si vedono I migranti che a maggio e ancora a ottobre camminavano avanti e indietro dai campi selvaggi costruiti in attesa di provare a superare il confine. Ma non per questo non ci sono, anzi: nel centro diurno in città arriva ogni giorno una ventina di persone per docce, ricarica dei cellulari e cambio di abiti. Poi però non si vedono in giro. “Chi prima stava in strada ora non ci sta, perché la Polizia passa e prende i migranti per portarli tutti a Lipa. E allora la gente, ma anche le associazioni, si vedono meno per evitare situazioni di questo tipo”, racconta Lejla Smaijc, responsabile sviluppo progetti per Emmaus, accogliendo I volontari di Bologna sulla rotta, la piattaforma nata sotto le Due torri un anno fa a seguito dell’emergenza migranti in Bosnia e al suo quarto viaggio nel paese balcanico, stavolta per portare aiuti ‘adatti’ questa fase. Ovvero, risorse per comprare generi alimentari con cui preparare cibo per i migranti che ancora non hanno superato la frontiera. E i soldi servono come il pane, “con il Covid è aumentato tutto”, racconta alla Dire una volontaria (qui uno stipendio medio alto si aggira sui 400 euro mensili). A Velika Kladusa a ottobre Emmaus ha aperto una cucina da 130 pasti al giorno: alcuni vengono consegnati, anche alle persone bisognose della città, altri a specie di rider, ‘delegati’ a ritirare I pasti per altri migranti che così non si fanno vedere in giro. Sabato e domenica scorsi volontari di Bologna sulla rotta hanno fatto la spesa per questa cucina (sei carrelli stracolmi) e per una volontaria che invece dà una mano ai migranti in cammino dalle parti di Bosanska Bojna, altro punto di confine.
Quelli attorno a Velika Kladusa sono luoghi già visitati dai precedenti viaggi partiti da Bologna, ma ora appaiono molto diversi. “E’ veramente stranissimo, qui c’era un viavai continuo di persone, 400 persone, tanti bambini, tende, un sistema di distribuzione dell’acqua… ora fa impressione”, dicono Nico e Viola che avevano visto questa zona, l’Elicopter, un enorme campo a due passi dalla città a ottobre scorso. Ora è una spianata brulla e spoglia punteggiata da masserizie abbandonate. Si notano le scarpe rosa da bimbi lasciate nella sterpaglia. E nel ‘Bosco Bangla’ poco lontano sono rimaste solo le tende mezze distrutte e i cani che facevano compagnia ai migranti, bangladesi appunto, a maggio 2021. Sia nell’uno che nell’altro campo selvaggio solo I resti bruciati delle sistemazioni di fortuna dicono che fino a poco fa erano pieni. Ma ora pochi resistono al gelo delle notti invernali. O sono a Lipa, nel nuovo campo a 30 chilometri di Bihac, o nascosti. Ci sono famiglie che decidono di aspettare che passi l’inverno cercando di evitare di farsi portare a Lipa.
Poche settimane fa alcuni gruppi, anche numerosi, sono riusciti a entrare in Croazia facendosi registrare per accedere così ai campi profughi. Ma ci sono anche ragazzi, di 13 e 16 anni, che di recente hanno provato il Game (il passaggio della frontiera nei boschi) due volte e altrettante sono stati respinti. “I pushbacks sono diminuiti, ma restano una prassi”, spiegano gli operatori delle organizzazioni umanitarie lungo il confine. Ed ecco così che prende forma un altro tipo di ‘risposta’: con il calo delle presenze lungo il confine, (gli arrivi dalla Serbia non sono più una emergenza, ma sono meno anche dalle zone di Sarajevo e Tuzla), con i campi più grandi pieni per metà, si provano a costruire corridoi umanitari. Dallo stare nascosti a uscire dal paese ‘alla luce del sole’: è una delle prospettive concrete su cui si può lavorare adesso.
“Stiamo cercando di lavorare ai corridoi umanitari. La Rotta balcanica è cambiata e sta cambiando, ma non sappiamo se a marzo riprenderanno gli arrivi”, dice Lejla. Ci sono da tenere d’occhio anche i venti di guerra in Ucraina: perché potrebbero riaccendere spinte separatiste interne (in primis nella zona della Repubblica Serbia della Bosnia) e portare i migranti a ripassare da questo paese… Chi c’è, intanto, sfrutta ogni finestra di bel tempo per provare il Game: come i tre migranti che, pur molto distanti da Bosanska Bojna (anche lì le case diroccate che offrono riparo sono piene solo di cose abbandonate da chi se n’è andato), si presentano a prendere qualcosa da mangiare dopo che i volontari bolognesi hanno scaricato gli acquisti. Poi via, finché c’è il sole. Pochi ma ci sono. “Ho aiutato una famiglia di quattro persone”, dice la volontaria e aggiunge: “Not so people in Sarajevo, but they are coming”. Insomma: anche se alcuni migranti preferiscono altri percorsi (per gli afghani pare che sia agevole puntare sulla Bielorussia, mentre in molti tentano la via della Romania o verso la Polonia), il confine bosniaco-croato resta un punto di snodo della Rotta balcanica. Va ‘adattata’ la risposta: i corridoi umanitari e ‘companatico’, cioè riso, fagioli, pasta, carne, latte, patate, zuppe… (panini per chi prova il Game).
“I soldi servono anche solo per comprare le vaschette in cui inserire gli alimenti che vengono ritirati dai singoli e portati agli altri. La cosa interessante che abbiamo sperimentato è che il progetto della cucina permette una sensibilizzazione sui migranti e passa il messaggio che questo progetto permette di aiutare anche le persone in difficoltà e bisognose che straniere non sono”, sottolinea Lejla.
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di Piermaria Romani

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Caro lettore

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