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Le dimissioni del ministro Nunzia De Girolamo hanno nuovamente privato il Ministero delle Politiche agricole del massimo responsabile politico. Senza entrare nel merito delle vicende che hanno portato alla scelta della titolare del dicastero di via XX Settembre, mette conto osservare che tutto ciò accade nel momento in cui si devono assumere decisioni importanti per il settore agricolo ed agroalimentare, in primo luogo l’applicazione della nuova Politica agricola comune, che comporta interessi vitali per le imprese italiane del settore. Per questo motivo il presidente del Consiglio Enrico Letta dovrebbe nominare rapidamente un nuovo titolare.
In cinque anni si sono cambiati cinque ministri delle Politiche agricole. Il che da un’idea della precarietà nella quale si governa l’agricoltura in Italia. La carica di ministro è storicamente merce di scambio, e nel caso specifico di scambio residuale: se nella formazione della compagine di governo i conti non tornano per questa o quella parte politica, zac! Ecco l’agricoltura come materia di compensazione degli squilibri.
Non parliamo poi dell’efficacia e del peso delle nostre rappresentanze governative a Bruxelles, dove si decidono i destini delle agricolture dei 28 Paesi membri. Si racconta – ma mancano i riscontri – che uno dei ministri italiani del recente passato, Giancarlo Galan, all’inizio del proprio mandato fu scambiato per un dirigente ministeriale, perché le trattative, da tempo, venivano seguite da un alto funzionario (poi divenuto esso stesso ministro), Mario Catania. Ma tant’è: a Bruxelles abbiamo contato sempre poco, e solo negli ultimi anni, con l’accrescimento del peso politico dell’Europarlamento in seguito al trattato di Lisbona, si è potuto vedere un ruolo attivo dell’Italia nel varo dell’ultima Pac, attraverso la Commissione Agricoltura presieduta da Paolo De Castro.
Al di là dei problemi di rappresentanza – che contano però, eccome, quando si prendono le decisioni – è sconsolante vedere che un settore vitale per l’economia sia continuamente messo in tensione e privato di orientamenti strategici. Nel 2013 il valore delle esportazioni di prodotti agroalimentari italiani ha raggiunto il massimo di sempre, con quasi 33 miliardi di euro (+6% rispetto al 2012): vino, ortofrutta, olio e pasta le “voci”trainanti. Il bisogno non è soltanto di strategie economiche per rafforzare queste performance (in primis, la difesa del made in Italy e l’internazionalizzazione delle imprese) ma anche le misure per affrontare e prevenire i disastri generati dagli eventi climatici estremi (frane, alluvioni e così via) e difendere il territorio dal consumo di suolo, mettendo in efficienza le strutture idrauliche e di bonifica per limitare o evitare il dissesto.
Non c’è bisogno di un ministro a tempo, quali che siano le vicende politiche. E nemmeno di un governo che relega l’agricoltura a materia di scambio o di trattativa, isolandola dal contesto generale, come da troppo tempo sta avvenendo. E, poiché è di moda parlare di tecnici, un check-up alla struttura di via XX Settembre sarebbe proprio necessario.

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Franco Stefani

Franco Stefani, giornalista professionista, è nato e vive a Cento. Ha lavorato all’Unità per circa dieci anni, poi ha diretto il mensile “Agricoltura” della Regione Emilia-Romagna per altri 21 anni. Ha scritto e scrive anche poesie, racconti ed è coautore di un paio di saggi storici.

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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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Francesco Monini
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