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Il potere taumaturgico della bellezza riesce a superare anche le secche in cui s’è incagliato il sistema Italia nella sua affannosa ricerca di darsi un volto politico possibilmente senza le rughe del passato ma anche con una parvenza di eticità che sembra scontrarsi, anche nei migliori, con il sistema politico stesso. Così mentre si leggono notizie che potrebbero solo renderci orgogliosi (vedi il reportage di Francesco Erbani su “Repubblica” di qualche giorno fa) quali quelle che riferisce che in Italia vi sono più di cinquemila luoghi museali, rispetto ai quasi millecinquecento che può vantare la Francia, seconda in questa classifica mondiale, luoghi dislocati nelle città di provincia piccole o medie che non riescono a gestire questo patrimonio per mancanza di personale o di una decente catalogazione. L’aiuto potrebbe venire dalle benemerite associazioni che, come accade in città “oberate” dal peso di una immensa offerta museale quali Venezia, Firenze o Roma, affidano l’apertura dei musei minori ad associazioni quali gli Amici dei Musei che però sono presenti solo in 261 realtà. Qual è l’origine prima di questa difficoltà? Probabilmente la resistenza che i lavoratori addetti a questa bisogna oppongono a una prestazione del tutto gratuita, spalleggiati in questo diritto dai sindacati. Non è che una delle tante difficoltà burocratiche che impediscono ai musei di aprire con regolarità. Un’altra causa che Salvatore Settis commenta nel suo articolo apparso su “Repubblica del 1 dicembre (“Ai cittadini spetta la sovranità sui nostri territori”) è l’uso commerciale che a siti naturali, musei, luoghi d’arte vengono affidati come set di ambientazione di qualche prodotto: dal prosciutto toscano appeso alle spalle del David di Michelangelo per reclamizzare il prodotto (“Perfetto equilibrio del gusto”) alle modelle occhieggianti tra i gessi canoviani della gipsoteca di Possagno a una celebre fattoria della Val d’Orcia location per la più famosa marca di pasta e biscotti. Oppure allo sfruttamento del celebre Corridoio vasariano che unisce con una via aerea Palazzo Vecchio a Firenze fino a Palazzo Pitti affidato a una impresa privata che richiede “solo” 16 euro per percorrerlo nonostante che i lavoratori dei musei fiorentini fossero disponibili a tenerlo aperto gratuitamente. Settis, approvando la decisione del ministro Bray che attesta come i lavoratori della Soprintendenza fiorentina sono “impegnati nella difesa della Costituzione” conclude che “su paesaggi e opere d’arte non ci sono copyright. Che i sovrani sono i cittadini”. La situazione ferrarese non è tanto diversa. I piccoli musei sono praticamente chiusi perché non sufficientemente tutelati data la crisi economica, la disponibilità di monumenti famosi quali il Castello a ospitare eventi di natura commerciale resta modesta e comunque non sempre all’altezza con un luogo così famoso come il palazzo degli Este. Solo poche realtà locali sono riuscite a vincere la sfida con la crisi e il terremoto attraverso un’intelligente amministrazione. Il Museo Archeologico di Spina che rimane un esempio brillantissimo delle possibilità di rendere stimolante l’offerta museale con una serie di manifestazioni calibrate che esulano dalla sola esposizione di reperti che, pur di fondamentale importanza nel panorama mondiale, non riescono da soli ad attirare un pubblico “motivato” o la Pinacoteca Nazionale del Palazzo dei Diamanti. Entrambe le istituzioni sanno offrire a gran parte dei cittadini o dei visitatori stimolanti proposte programmando manifestazioni che pur rimanendo nell’ambito di un’offerta culturale alta sanno coniugare il primo compito del museo (casa di tutti i cittadini “ che ne sono sovrani” secondo Settis) che è quello di esporre i reperti della nostra storia e della nostra civiltà con altre scelte quasi sempre azzeccate. Ad esempio quelle che ho potuto sperimentare tra ieri e oggi: l’inaugurazione dell’anno sociale degli Amici dei Musei con una conferenza lezione su Verdi e la poesia tenuta da un giovane studioso ferrarese Michele Borsatti che ha incantato il folto pubblico. Di seguito ha proposto un concerto di memories tra Beatles e pezzi classici interpretati da un giovanissimo pianista quindicenne di grande bravura per i bambini in emergenza. O domenica l’esecuzione dello Stabat Mater di Pergolesi con l’Ensemble Barocco del Conservatorio ferrarese, altra straordinaria realtà culturale della città, e con due stupefacenti e giovanissimi cantanti. Allora sì che, riprendendo l’inizio di questa riflessione, il potere taumaturgico della bellezza riesce a superare anche le secche in cui s’è incagliato il sistema Italia. Si pensi anche all’attività della Pinacoteca sempre pronta a spalancare le porte del meraviglioso salone d’onore di Palazzo dei Diamanti a iniziative nobili e raffinate come sarà il 4 dicembre la presentazione del libro brillantissimo di un grande studioso dal nome celebre, Masolino d’Amico, che scrive un divertissement sul più grande “sarto” del paesaggio inglese così come ora lo conosciamo: Lancelot “Capability” Brown che cucì, secondo il modello del cosiddetto giardino inglese, le bellezze della campagna e dei suoi meravigliosi siti. Capisco che l’amministrazione comunale e provinciale deve fare di necessità virtù, capisco anche che il pubblico dei visitatori e cittadino preferisca il festival dei Buskers o quello dei Baloons a una più difficile scelta di cultura falsamente bollata come elitaria in quanto non promuove il turismo o solo un certo tipo di turismo. Capisco anche che le mostre di Ferrara arte o l’attività del Teatro comunale siano di vitale importanza per l’immagine della città. Meno capisco l’ossessione di ricavare comunque un reddito dall’evento. E primo fra tutti la scelta dell’incendio del Castello che mette a repentaglio diversi monumenti della città, che evoca nella sua fase più intensa un mondo di fuoco e fiamme, una Gehenna di cui non capisco il valore ma capisco la simbologia: fuoco, fiamme e boati. Ma alle scelte condivise da tanti non si può che opporre un educato dissenso. Spiace comunque che chi non è in riga con queste scelte e con queste soluzioni sia solo riservato il ruolo di noioso e “vecchio” intellettuale. A una domanda rivolta per interposta persona al guru di Renzi, il celebre Gori, se sembrava corretta la scelta commerciale fatta dal sindaco fiorentino delle bellezze artistiche della città la risposta è stata un secco “La cultura non deve essere elitaria”. Alla grazia!

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

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