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Intervista al cantautore Diego Capece, “Il TerroNista”

di Eleonora Rossi

Un appuntamento con ‘il TerroNista’ potrebbe apparire alquanto minaccioso. Ma solo fino a quando Diego Capece, cantautore lucano, non alza gli occhiali scuri per accoglierci con un sorriso e con uno sguardo caldo e profondo, come la sua voce. Per raccontarci il suo attaccamento viscerale alla musica: “Da studente universitario ho fatto la ‘fame’ per comprarmi il cofanetto dei Beatles”, sorride Diego. Una passione che gli appartiene da sempre e con cui è cresciuto; aveva appena sette anni e già si era fatto regalare un karaoke giocattolo: “Ero piccolo e cantare dentro un microfono chissà che cosa mi sembrava! Quasi una magia”. La musica è diventata poi la “migliore amica”, la “compagna anarchica”, “l’amante preferita”, come canta Diego nel brano ‘Nient’altro che la musica’, un inno alle note e alla poesia – le parole che restano: perché, sottolinea l’autore, “la poesia accompagna sempre la nostra esistenza e quando abbracci la chitarra entri nel tuo mondo”.

Dal primo karaoke, con la magia della voce amplificata nel microfono, puoi raccontarci il tuo incontro con la musica?
Quando ero bambino internet non era una moda e trovare la musica non era facile, io ebbi la fortuna di conoscere Antonio Grasso, un signore di Castelluccio Inferiore, il mio paese; ricordo, avevo 12 anni, mi regalò una cassetta dei Pink Floyd, The Wall: “Fra qualche anno li capirai”, mi disse. Dopo le scuole superiori io e Antonio ascoltavamo continuamente musica ci scambiavamo cd e dvd. De Andrè era uno dei suoi cantanti preferiti. Poi ho scoperto il rock ed è stata… la fine! Ascoltavo di tutto, dai Led Zeppelin ai Doors: a 16 anni mi vestivo come Jim Morrison e ho iniziato a suonare dal vivo con una cover band del mio paese. Il mio amico Antonio, con cui ho condiviso giornate e musica, purtroppo è morto giovane: gli ho dedicato una canzone, “È inutile scappare al proprio destino”. È cominciata così: poi sono cresciuto musicalmente ed è iniziata l’avventura da cantautore.

Come nasce il ‘TerroNista’?
‘Il TerroNista’ nasce dalle ceneri di Jake Moody, cantautore e chitarrista lucano che nel 2012 ha intrapreso questo progetto. È un progetto che mescola diversi elementi che creano una sintesi familiare e originale al tempo stesso; una musica folk-rock combinata a ritmi mediterranei, popolari, fanno da cornice ai miei testi, spesso semplici, ma che esprimono quello che hanno da dire in modo diretto e coinvolgente.

Come sei arrivato a questo progetto?
Ad inizio 2013 ho presentato un album dal titolo ‘Libertà di espressione’ al teatro Stabile di Potenza. Ho partecipato poi al Dedalo Festival, aggiudicandomi la III edizione del Woody Groove Sound Festival; in occasione del festival ‘Inzanstock’ ho aperto il concerto de ‘I Soci’ – con Cosimo Zannelli, Federico Sagona e Pino Fidanza che hanno collaborato con Piero Pelù e i Litfiba – e sono stato finalista del concorso ‘Targhe d’autore controcorrente’. Nel gennaio 2014 grazie all’album ‘Libertà di espressione’ ho firmato un contratto con la Hydra Music, di Eboli, che collabora con artisti del calibro di Tullio De Piscopo, Enzo Gragnianiello, Alessandro Haber. Io e il mio quintetto abbiamo vinto poi il contest ‘Facimm Juorn’ organizzato dalla Pro Loco di Sasso di Castalda (Potenza) con l’opportunità di registrare un EP, con la collaborazione dell’artista siciliana Valeria Cimò.

Chi suona insieme a te?
Per il momento, nel tour invernale, sto suonando con un trio folk acustico, con Marco Ielpo alla chitarra e Fausto Picciani al cajon. Ma per la formazione che mi accompagnerà per il prossimo tour estivo, la speranza è quella di recuperare alcuni musicisti che hanno fatto parte della formazione precedente, oltre ai ragazzi che già suonano attualmente con me, per completare la band. Le ‘ballate del terronista’ invece è stato registrato insieme a Domenico Carabotti (tastiera, fisarmonica e synth), Massimo Catalano (ukulele e mandolino), Giovanni Catenacci (sax e clarinetto), Rocco Sinisgalli (basso), Ivan Leone (batteria e percussioni).

Che cosa racconti nelle ‘Ballate del terroNista’?
‘Le ballate del terroNista’ è il mio esordio discografico, il mio progetto in uscita a marzo. Nei brani che ho scritto, la tradizione musicale lucana e del Meridione diventano il veicolo di una sorta di inno per il riscatto di un’intera generazione di miei conterranei. Sono appassionato alla storia della mia terra, alla storia del brigantaggio. ‘Le ballate del TerroNista’ è un EP di quattro brani con influenze folk che rievocano la Basilicata. I ritmi mediterranei sono la cornice di testi ispirati dai racconti e dalle esperienze della gente comune. Quando scrivo, io mi immedesimo nelle persone e nelle storie. Dalla traccia di apertura che delinea la figura del TerroNista, personaggio figlio della sua terra e delle sue tradizioni, fino ad arrivare alle ballate che completano il disco, tra cui ‘La ballata di Franco’, con special guest Valeria Cimò alla voce e alle percussioni: testi espressivi sposano una musica che deve tanto alla tradizione popolare, ma che non è mai mera imitazione.

Scrivi: “Il terroNista che tutto il mondo conquista”, “è simpatico e ospitale, non dovete volergli male”. Mi colpisce, nei tuoi testi, l’autoironia e la capacità di far riflettere e di provocare. In alcuni brani si avverte però anche una certa rabbia.
Ho scritto canzoni sincere. “In libertà di espressione” c’è la voglia di far sentire la propria voce: è un testo a tratti riflessivo, a tratti arrabbiato. Vorrebbe essere la denuncia di un uomo colpevole di andare verso l’autodistruzione. La mia canzone ‘Una sera qualunque’ è uno sfogo amaro. Altri brani – come ‘Monte-Citorio’ e ‘La fine del mondo’ – sono brani di protesta. ‘Il musicista Jake’ racconta il mio esordio nel mondo della musica e l’etichetta che mi è stata assegnata dalla gente del paese, di una piccola realtà, destinata a rimanere la stessa nel corso del tempo, ma per fortuna ho avuto modo di smentirla. Nell’ultimo disco ‘Il TerroNista’ descrive in modo autoironico un ‘terrone medio’, penso che l’autoironia sia una delle armi più forti per far colpo sulla gente.

È stato scritto di Diego Capece: “Il suo legame con Bennato è chiaro, per le sfumature musicali e il tono della voce, rievoca invece Fabrizio De Andrè nella sua predisposizione a raccontare l’elemento popolare, infine Giorgio Gaber quando denuncia realtà politiche e lo fa con ironia”. Ma al di là degli autori che può evocare – aggiungo io che scrivo – i testi e la musica del ‘TerroNista’ hanno uno stile unico. “Gli arrangiamenti, che vedono partecipi strumenti immancabili nel folk come chitarra, ukulele, fisarmonica, sax e percussioni, riescono a trasmettere a chi ascolta il calore tipico mediterraneo – ha osservato Alice Sbroggiò -. Come se si venisse in un attimo trasportati in Basilicata, luogo di provenienza di Capece e culla del suo progetto. Il TerroNista ha racchiuso all’interno del suo disco, l’anima della sua terra”. Le canzoni sono da ascoltare e riascoltare. Da meditare e da cantare. Da bere come un vino buono. Alla ‘leggerezza’, al colore e all’incanto del folk “con piacevoli contaminazioni etniche” , il TerroNista unisce testi profondi, riflessioni sull’esistenza e sulla vocazione alla musica, che chiama ad essere se stessi, fino in fondo. Delusioni e ideali, da seguire instancabilmente. Poesia cucita sulla pelle. E una strada da cantautore, come scrive Diego Capece: “Non sono io che ho scelto di fare il cantautore, è il cantautore che ha scelto di entrare dentro me (e tutti i giorni mi chiedo perché!)”. Un ‘destino’ che gli detta parole come queste: “In silenzio possiamo sfondare le fredde barriere del cielo. La poesia scalderà la musica dopo il disgelo”. E ancora: “Mostriamoci per quello che siamo”, “vogliamo vivere, non solo esistere, facciamolo adesso, senza esitare. La musica ci farà continuare ad amare”.

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Eleonora Rossi


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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