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Il brutto del web è che ogni giorno ti inonda di cose, e tende a cancellarti la memoria delle cose dette e fatte l’anno prima, il mese prima, addirittura il giorno prima. Il bello del web è che ne conserva le tracce.

Nel 2018, dopo un violento temporale che allagò alcune zone di Ferrara, l’allora censore del potere  Nicola “Naomo” Lodi girò un video nel quale accusò la Giunta di non avere fatto nulla per evitare il disastro. Lo sporcaccione Modonesi non aveva pensato di far pulire le caditoie che convogliavano l’acqua piovana alle fognature, e il risultato era che per girare Ferrara serviva una canoa (se non te lo ricordi, puoi rivederlo QUI)

Qualche giorno fa un violento temporale ha allagato Ferrara. Corso Ercole d’Este, via Spadari sembravano gonfi affluenti del Po, Piazza Ariostea un lago le cui acque venivano solcate da un improvvisato surfista di città. Video sulla pulizia delle caditoie da parte dell’attuale vicesindaco Nicola “Naomo” Lodi, non pervenuti. Ovviamente.

Se le divinità fossero cadute in disgrazia al punto da doversi occupare delle sorti di un piccolo pregiudicato di provincia, ti direi che Giove Pluvio e Nemesis si sono alleate per il nostro divertimento. Purtroppo però è un divertimento magro, che dura un attimo. Perchè quello che si è verificato e si ripeterà non è un brutto temporale, è una manifestazione del cambiamento del clima. L’altra faccia di mesi di siccità. Una tragedia. Per centinaia di coltivatori, anzitutto. Per te e me, per noi, che fra un po’ mangeremo scatolette invece di frutta e verdura fresca. In prospettiva, una tragedia per il nostro territorio, un fragilissimo delta in cui il confine tra terra e acqua oramai è segnato nemmeno dall’accigliarsi del fiume, ma del mare. E noi lo stiamo facendo accigliare, ed alzare.

Durante una bella lezione agli studenti (leggi qui), il premio Nobel per la Fisica Giorgio Parisi ha detto una cosa che trovo convincente: “Il Pianeta ha cinque miliardi d’anni, ha grandi animali da mezzo miliardo d’anni, è sopravvissuto alla caduta di asteroidi e altri cambiamenti climatici. Quindi io non credo che il Pianeta sia in pericolo, ma noi lo siamo. Tutta la nostra civilizzazione è basata su risorse agricole estremamente delicate da gestire con il cambio della temperatura. Immaginiamoci se si fermano i monsoni nell’oceano indiano: cesserebbe di piovere nel sud est asiatico e miliardi di persone nell’Asia, senza cibo, vorrebbero emigrare altrove. Ecco perché la situazione è estremamente difficile”.

Capisci? Noi siamo in pericolo. Il Pianeta Terra ha i mezzi per ristabilire un proprio equilibrio, ma su basi diverse, che potrebbero stravolgere completamente il nostro modo di vivere. Parisi ha aderito alla lettera aperta che molti climatologi del Sisc (Società Italiana per le Scienze del Clima) hanno rivolto ai politici impegnati nella campagna elettorale. Uno dei passi più significativi della lettera recita: “Come scienziati del clima siamo pronti a fornire il nostro contributo per elaborare soluzioni e azioni concrete che siano scientificamente fondate, praticabili ed efficaci. Ma chiediamo con forza alla politica di considerare la crisi climatica come un problema prioritario da affrontare, perché mina alla base tutto il nostro futuro” (per il testo integrale della lettera, leggi qui).

La cosiddetta “transizione energetica” non è una passeggiata. Di sicuro, le idee degli scienziati del clima andrebbero intersecate con robuste dosi di pragmatismo economico e sociale, per governare un processo che diversamente rischia di rimanere in stallo tra due estremi: l’estremo di chi guarda solo al ripristino di un equilibrio sostenibile dal punto di vista climatico, dicendo no ad un mantenimento nel breve e medio periodo di fonti energetiche inquinanti, ma non sostituibili in toto; e l’estremo opposto di chi guarda solo al presente, bollando come populista ogni idea di sostituzione graduale dei combustibili fossili con fonti rinnovabili. Solo un mix di questi due approcci fa imboccare una direzione di buon senso.

Sotto questo aspetto anche il nostro fragile territorio dovrebbe approfondire l’esperienza delle Comunità energetiche rinnovabili per l’autoconsumo collettivo:  comunità territoriali dove i produttori di energia e i consumatori si scambiano l’energia prodotta in un circuito di consumo collettivo. E’ un’esperienza nata in Alto Adige nel 1921, e sviluppata a partire dagli anni settanta soprattutto in Danimarca, Germania e Paesi Bassi (ne abbiamo parlato su Periscopio, qui).

Le Comunità Solari Locali sono nate a partire da un progetto dell’Università di Bologna nel 2010, prima della legge nazionale che ha istituito le comunità energetiche Cer. Attualmente, sono presenti in comuni dell’Emilia Romagna (Medicina, Zola Predosa, Casalecchio di Reno, Sasso Marconi), Montegiorgio (Fermo) e Pesaro nelle Marche. Ci sono poi altre trentaquattro sezioni costituende tra cui Sambuceto in Abruzzo. Come spiega Leonardo Setti, docente dell’Università di Bologna, esperto di rinnovabili e fondatore delle Comunità solari: “nel passaggio dai combustibili fossili alle energie rinnovabili dobbiamo inevitabilmente passare dal global al glocal, ovvero dalla gestione dell’energia a livello globale alla gestione a livello locale perché le rinnovabili, a differenza dei combustibili fossili, non sono centralizzabili. Ognuno di noi dovrebbe iniziare a produrre l’energia che consuma che sia sulla superficie di un tetto, di una scuola o di un parcheggio. In questo modo potremmo produrre il 70% dell’energia sui territori e consumare sui territori, l’altro 30% dovremmo necessariamente importarlo per ragioni stagionali o metereologiche. Le comunità energetiche nascono per tenere in equilibrio questo sistema di produzione e di consumo.”

Solo una produzione e consumo di prossimità potrà tracciare la strada che dalla transizione locale porta alla transizione globale. A Medicina in questo momento sono coinvolte nel progetto 300 famiglie, circa il 2% della cittadinanza. I risparmi sulle bollette sono stati di 250/300 euro l’anno; le mancate emissioni nocive sono state di 40 kg di Co2 l’anno per ogni cittadino aderente.

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Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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