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Un video in rete, racconta la storia dei mitici anni sessanta. Il video, condito con un’accattivante colonna sonora, ricorda gli oggetti, i temi, i luoghi e i comportamenti che hanno caratterizzato una generazione. Il filo conduttore “noi che” precede una lunga serie di frasi che caratterizzano gusti, giochi, modi di vivere, sogni, ingenue esplorazioni di un mondo nuovo, fatto di joux box, di mangianastri, di beni alimentari industriali. E’ prima di tutto l’emergere di nuovi beni di consumo a segnare la percezione di un’era di libertà e di benessere e di un mondo nuovo. “Noi che i pattini avevano 4 ruote e si allungavano quando il piede cresceva. Noi che il Ciao si accendeva pedalando. Noi che sentivamo i 45 giri nel mangiadischi. Noi che le cassette se le mangiava il mangianastri, e ci toccava riavvolgere il nastro con la bic. Noi che c’era la Polaroid. Noi che si andava in cabina a telefonare”. Giochi semplici: “Noi che giocavamo a nomi, cose, animali, città e la città con la D era sempre Domodossola. Noi che ci mancavano sempre quattro figurine per finire l’album Panini. Noi che suonavamo ai campanelli e poi scappavamo”. Nuovi segni di benessere che oggi suscitano tenerezza: “Noi che ci sbucciavamo il ginocchio, ci mettevamo il mercurio cromo. Noi che la Barbie aveva le gambe rigide. Noi che quando a scuola c’era l’ora di ginnastica partivamo da casa in tuta. Noi che l’unica merendina era il Buondì Motta e mangiavamo solo i chicchi di zucchero sopra la glassa”.

Tempi di nuovi spazi di libertà intravisti piuttosto che conquistati: “Noi che ci emozionavamo per un bacio su una guancia”. Tempi in cui il senso della disciplina restava più solido di quanto al tempo potesse apparire agli adulti: “Noi che se a scuola la maestra ti dava un ceffone, la mamma te ne dava due. Noi che se a scuola la maestra ti metteva una nota sul diario, a casa era il terrore. Noi che le ricerche le facevamo in biblioteca, mica su Google. Noi che si poteva star fuori in bici il pomeriggio. Noi che se andavi in strada non era così pericoloso”.

Un filo velato di nostalgia si scorge dietro ogni frase-ricordo. Questo video tratta un tema universale: il bisogno di definire chi siamo, attraverso scelte che non siano solo nostre, ma che ci accomunino ad altri come noi. L’identità passa attraverso la possibilità di riconoscersi in tratti comuni, attraverso la ricerca di elementi che segnano differenze, caratteristiche peculiari, specificità presunte o reali.
Noi siamo ciò che narriamo di noi stessi. Attraverso il racconto delle nostre esperienze, troviamo ad esse un senso. Raccontare è un aspetto fondamentale della vita umana che accomuna tutte le culture. Per mezzo di storie, fin dalla tenera età riconosciamo dei modelli di comportamento. Attraverso le storie comprendiamo il mondo in cui viviamo e possiamo mettere in comune le esperienze; con le storie riusciamo a far emergere significati che molto spesso sono immersi in un “rumore di fondo” di difficile interpretazione.
Ogni generazione ha il proprio patrimonio di storie da raccontare. Le storie emergono attraverso la memoria e il confronto tra un ipotetico “noi” e “loro”. Evitiamo di pensare, quindi, che ora tutto è perduto e che non resta che il passato. Il problema è che il presente è sempre più difficile da interpretare rispetto a ciò da cui siamo usciti e che possiamo guardare a distanza.

 

Maura Franchi, laureata in sociologia e in scienze dell’educazione, vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Storytelling e social media marketing, Marketing del prodotto tipico.
Studia i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, i processi della scelta e i comportamenti di consumo, con una particolare attenzione ai consumi alimentari, le forme di comunicazione del brand.

Tra le pubblicazioni recenti:
2013, “Social network: risorse per la collaborazione?”, La società degli individui, n. 45, gennaio
2012, “Le tecnologie delle relazioni: una via individuale alla socialità”, La società degli individui, n. 44, ottobre
2012, “The contents of typical food products: tradition, myth, memory. Some notes on nostalgia marketing”, in Ceccarelli G., Magagnoli S., Grandi A. (eds.), Typicality in History: Tradition, Innovation and Terroir, European Food Issues, P.I.E. Peter Lang – Bruxelles.
2011 (con Schianchi A.), Scegliere nel tempo di Facebook. Perché i social network influenzano le nostre preferenze, Carocci, Roma
2011, “Food Choice. Beyond the chemical content”, International Journal of Food Science and Nutrition, 1-12.
2009 (con Schianchi A.), Scelte economiche e neuroscienze. Razionalità, emozioni, relazioni, Carocci, Roma
2009, Il cibo flessibile. Nuovi comportamenti di consumo, Carocci, Roma.
2008, Raccontare il consumo. Strumenti per l’analisi, Franco Angeli, Milano.
2007, Il senso del consumo, Bruno Mondatori, Milano.

Contatti: maura.franchi@unipr.it

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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