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da Monaco di Baviera

Forse sarà una sorpresa per tanti Italiani: in Germania, in questi giorni di feroce, quasi rivoluzionaria, ‘Corona-Crisi‘, si parla molto spesso dell’Italia, come non era mai successo negli ultimi anni. Ma questa esplosione d’interesse è molto ambigua, si alimenta di vecchi clichè e di una nuova ignoranza. Un giudizio, questo, che può essere esteso anche a tanti italiani, che della Germania ammirano la potenza tecnologica ed economica, ma non sanno nulla o quasi nulla dei problemi sociali del paese della Mercedes, di Adidas e di Angela Merkel.

All’inizio dell’epidemia emergeva l’immagine stereotipata del paese sotto le Alpi: gli italiani che sono in grado godere la ‘dolce vita’ sul balcone durante i giorni di coprifuoco; gli italiani che cantano nel cortile, O sole mio‚ Azzurro, Volare o l’inno nazionale quando, fuori dalle case in cui sono bloccati, c’è l’inferno.
Tutti i tedeschi, anche quelli che normalmente sono molto riservati, addirittura anche gli xenofobi, gli anti stranieri sempre e comunque, in quel primo periodo del contagio, hanno elogiato ‘gli amici italiani‘, che fanno pizze fantastiche, quelli che ci hanno donato il Va pensiero di Verdi, lo splendido tenore Luciano Pavarotti, la musica rock di Gianna Nannini o il gentile e amatissimo allenatore Trappattoni. Quel cliché degli Italiani allegri malgrado tutto è sempre stato molto diffuso fra i tedeschi: valeva anche per la mia personale biografia, poiché sono cresciuto in una piccola città del Nordovest, dove i primi stranieri erano i camerieri italiani di una gelateria. Sempre allegri, sempre gentili, parlavano tedesco con un accento strano e divertente. Questo atteggiamento verso gli italiani non si è mai interrotto in Germania, nemmeno nei primi  giorni della Corona-Crisi.  BILD, il giornale boulevard più diffuso in Germania, aveva pubblicato una decina di giorni fa, una pagina intera dedicata solo agli italiani che piangono migliaia di morti a causa del virus orrendo. Lì si leggeva: ”Ciao Italia. Ci rivedremo presto. A bere un caffè o un bicchiere di vino rosso. In vacanza oppure in pizzeria. Italiani, siamo con voi.”

Ma oggi, e sono passati solo pochi giorni, l’attuale Realpolitik della Germania verso gli amici italiani in crisi è diventata diversa, molto diversa. Appena la pandemia è arrivata anche in Germania, con un po’ di ritardo rispetto all‘Italia, il vento della grande amicizia è cambiato profondamente nell’opinione pubblica. Si è iniziato a sentire sempre più spesso, con il ritmo di un rosario: “Non vogliamo una situazione come in Italia“. Una frase che sintetizza quella parte di sentimento negativo che accompagna da sempre il cliché positivo dell’italiano allegro.

Quando le cose vanno molto male (e non solo nel contesto dell’attuale pandemia) tra tantissimi tedeschi, sia al vertice della classe politica, sia nei media, sia tra la gente comune della strada, circola e si ripete sempre la stessa frase: “Non dobbiamo fare le cose come le fanno gli italiani“.
Questo pregiudizio non è un osservazione meramente folkloristica (pregiudizio che in forma diversa esiste anche in Italia contro i Teutonici), ma si concretizza in una proposta di politica fiscale dura, chiusa, tutta indirizzata a difendere gli interessi propri, contro i non tedeschi, anche se costoro, come gli italiani appunto, fanno parte di un stato fondatore dell’Europa d’oggi.
Dire ‘Deutschland zuerst (‘Prima la Germania’) è per i tedeschi, a causa della storia del nazismo, giustamente un tabù. Neppure qualcuno della estrema destra direbbe quello slogan in pubblico. Ma il leitmotiv della politica reale, soprattutto della politica fiscale, in Germana, è sempre un modo per blindare l’economia tedesca, quella delle Grandi Banche, di Mercedes, di BMW, e di Volkswagen. Sono loro ad essere diventati, durante gli ultimi anni del boom, i veri sovrani della politica tedesca. Ne Schröder, il cancelliere del Centro Sinistra, né Angela Merkel, la cancelliera del Centro Destra, potevano e possono fare qualcosa in politica senza l’approvazione da Wolfsburg (VW), da Stoccarda (Mercedes), da Monaco (BMW) o da Francoforte (sede della borsa e delle grandi banche tedesche).

Contro questo blocco di potere è cresciuta negli ultimi anni anche una opposizione nuova: da parte della sinistra e pro Europa, i Verdi, molto forti soprattutto nelle grandi città della Germania Ovest, da parte dell’estrema destra, l’AfD (Alternative für Deutschland), forte soprattutto nella Germania dell’Est. Il partito dei Verdi respinge il ‘Fiscalnazionalismo’ (Philipp Ther) della Grande Coalizione contro l’Italia e la Spagna, ma davanti al ‘matrimonio di fatto’ fra Realpolitik e grandi aziende a Bruxelles, i Verdi non contano molto. Per l’estrema destra invece, la Merkel o la  Von der  Leyen sono rappresentanti odiati di una politica troppo molle verso gli emigrati e anche verso quegli Stati del Sud Europa che non sono in grado di curare il proprio sistema sanitario (vedi la diffusione dell’epidemia) e di eliminare la corruzione nello Stato.

In ogni caso, al di là delle simpatie ed antipatie dell’opinione pubblica tedesca, al di là delle opposizioni di destra e di sinistra, in questo momento storico buio e molto incerto per tutti i paesi d’Europa, cresce anche in Germania un malumore diffuso, che ha trovato voce soprattutto fra i tanti intellettuali, artisti, musicisti, giornalisti, scrittori, scienziati. Al centro delle loro preoccupazioni non è la Germania, né l’Italia o la Spagna, ma l’Europa. Per loro (firmatari di un appello per il Coronabond lanciato anche dalle pagine di questo giornale [Qui]), l’Europa fondata dopo la Guerra era, e resta ancora, una roccaforte contro la rinascita di un nazionalismo che ha distrutto la civilizzazione umana e democratica del Continente, con conseguenze che si sentono ancora oggi. Come europei abbiamo un grande bisogno di una politica comune per risolvere i danni enormi causati dallo tsunami Covid19.
Grande ed emozionante è stato lo spettacolo delle canzoni sui balconi, nobili sono gli atti di Caritas e dei tanti che sono in prima linea nella lotta contro la pandemia, ma per salvare non solo le vite ma anche i valori fondamentali d’Europa ci vuole di più. Per gran parte dell’elettorato tedesco l’Europa è troppo importante anche nel gioco dei grandi poteri globali per lasciarla ai nazionalisti, ai populisti d’ogni genere e ai Big Boss dell’economia capitalistica.

 

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Carl Wilhelm Macke

È nato nel 1950 a Cloppenburg in Bassa Sassonia nel nord-ovest della Germania. Oggi vive a Monaco di Baviera e il piu possibile anche a Ferrara. Lavora come scrittore e giornalista. E’ Segretario generale della rete globale “Giornalisti aiutano Giornalisti (www.journalistenhelfen.org) in zone di guerra e di crisi, e curatore dell’antologia “Bologna e l’Emilia Romagna”, Berlino, 2009. Amante della pianura.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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