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Col cuore pesante per le vicende occorse alla città di tutti, Venezia, mi reco a Modena dove un capolavoro dell’arte “ch’alluminar chiamasi in Parisi”, il miniato libro “Sant’Agostino”, appartenuto a Ercole I d’Este di proprietà della Biblioteca Marciana di Venezia e un tempo custodito nella Biblioteca dei duchi estensi a Modena, viene presentato in uno splendido fac-simile che almeno virtualmente ricompenserà la perdita e che come prossima tappa toccherà Ferrara da cui era partito. E quale aiuto più utile si può dare alle offese che Venezia sta subendo: dal passaggio dei mostri navali che incombono sulla Giudecca, alla trasformazione del Fondaco dei Tedeschi in un nuovo store di una grande ditta veneta a cui è stato permesso d’intervenire su un’architettura che definire sacralmente intangibile sarebbe poco; fino alla vicenda del Mose, se non esaltandone i segni di quella bellezza assoluta che la rende non solo unica ma irrepetibile?

E’ sempre stato sottolineato dai grandi critici ottocenteschi che le arti fioriscono sotto le dittature e che il tiranno esercita il proprio diritto alla magnificentia delle arti come segno tangibile del proprio potere. In epoca democratica questo non accade in quanto tanti rappresentanti del popolo non aiutano il fiorire delle arti ma al contrario da noi, in “Itaglia”, rubano impoverendo la cosa pubblica di cui dovrebbero essere custodi. Il fine stesso del Mose era quello di preservare la bellezza di questa città in modo che non venisse deteriorata nel tempo o si allontanasse la sua fine. Quale più nobile scopo? Quale possibilità offerta agli imprenditori ora invogliati dall’Artbonus a investire nella città delle meraviglie? E a farlo con l’aiuto e la solidarietà del potere politico. No! Al contrario si ruba o si accelera la fine di Pompei o si affidano le chiavi della Reggia di Caserta a truffatori, ad ambigui personaggi, avvilendola a discarica della ambizioni di personaggi deliquenziali. E il furto alla Biblioteca dei Gerolimini di Napoli? E l’ambizione di fare di una parte della Villa reale di Monza una sede di un partito? Siamo metaforicamente il regno di Mida. Certo lui trasformava tutto ciò che toccava in oro; noi uguale. Salvo poi intascarselo.

Nell’aprire la presentazione del magnifico fac-simile del “Sant’Agostino” notavo che l’unico modo per contrastare il destino di Venezia e per non dimenticarla rimane quello di esaltarne le sue immense ricchezze culturali, rispettarle, perché sono di tutti: un magnifico dono che ci è stato concesso e che noi vilmente mandiamo in rovina. Hanno rinnovato il Museo nel palazzo di San Vio del conte Cini. E a noi ferraresi qualcosa dovrebbe risuonare nella mente. Questa meravigliosa collezione si è formata sotto una dittatura o nell’Italia che faticosamente si leccava le ferite del dopoguerra mentre noi democraticamente rubiamo e distruggiamo. Mi rendo ben conto che fare i Savonarola è assai semplice dopo; che questi fatti nuocciono alla politica più di elezioni perdute: ma quello che debbono fare voci ancorché sconsolate e sconcertate è non tacere. Si alzino a difesa della politica eticamente esercitata; non si rassegnino a restare silenziose per non dare ragione a chi vorrebbe tutto distruggere e rapinare per sedersi trionfante sulle rovine di una nazione ritornata terra di conquista dei barbari.

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Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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