Skip to main content

“Governare la globalizzazione” è un proposito che, in Italia, non viene nemmeno preso in considerazione dalle politiche industriali. Gli esempi si stanno snocciolando davanti ai nostri occhi. L’ultimo:  Andrea Ghezzi è l’AD della Gkn Italia (produzione assi e semiassi per auto). Ha appena confermato alla stampa il licenziamento di tutti i dipendenti dello stabilimento di Campi Bisenzio. Vi prego di guardare questo video natalizio di un minuto, nel quale fa gli auguri ai lavoratori “per un 2021 ricco di soddisfazioni e salute” dopo averne lodato l’opera che ha permesso di garantire la “sostenibilità finanziaria” dell’impresa:

guarda qui

Ghezzi quindi a dicembre 2020 conferma l’equilibrio finanziario della GKN, e a luglio 2021 annuncia il licenziamento di tutti e la chiusura dello stabilimento di Campi Bisenzio. Contestualmente chiede 12 mesi di cassa integrazione per chiusura attività e propone un advisor per la riconversione industriale del sito. Con chi, per fare cosa, sono dettagli fastidiosi. Il giornalista gli chiede perché nel bilancio di responsabilità scrivono di mettere al primo posto il benessere dei dipendenti e poi tagliano tutti i posti di lavoro, e lui risponde: “considero responsabilità sociale proprio il piano proposto al sindacato che va ben oltre quanto previsto dalla legge”. Tradotto: per la legge noi possiamo fare quello che ci pare, ma siccome siamo buoni, proponiamo di mettere a casa tutti con un anno di stipendio (tagliato e pagato dallo Stato), ma con una adeguata formazione vedrete che saranno tutti ricollocabili. Dove, presso chi e per fare cosa, ancora una volta, sono dettagli fastidiosi. Poi smentisce che la decisione sia della Melrose, il fondo che detiene il controllo dell’azienda: “Le motivazioni sono indicate nella lettera trasmessa a sindacati e istituzioni e hanno carattere industriale. Il riferimento a Melrose non è pertinente”.

Quindi uno pensa: se la scelta è locale e i problemi sono localizzati, sarà lo stabilimento di Campi ad essere stato amministrato male. Il primo a rimetterci le penne dovrebbe essere proprio il suo Amministratore Delegato. Invece Ghezzi non solo resta in sella, ma si permette di rilasciare interviste contrite dichiarando la decisione della chiusura “dolorosa” (per chi?) ma definitiva. Il motivo è semplice: la decisione non è locale, ma è centrale. Ghezzi si limita a fare la sua parte in commedia, e probabilmente per questo sicariato verrà anche ricompensato. Ha una grave responsabilità, sia chiaro, quella di eseguire ordini manifestamente criminosi, almeno sotto il profilo sociale: ma si tratta della responsabilità di un luogotenente della globalizzazione, uno dei tanti. La globalizzazione in nome della quale alla Texprint di Prato (stamperia tessile) la polizia sgombera con la forza gli operai (stranieri) e i sindacalisti che fanno sciopero della fame chiedendo l’applicazione del contratto nazionale di lavoro (8 ore per 5 giorni la settimana anziché 12 ore sette giorni su sette); lavoratori che, per inciso, incassano l’ostilità di molti impiegati della stessa azienda, preoccupati che la conflittualità non faccia uscire la merce e faccia crollare gli ordinativi.

“Governare la globalizzazione” è un proposito che, in Italia, non è mai stato preso in considerazione dalle politiche industriali, ora come in passato. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: guerra tra poveri. Indeterminatezza dei padroni. Totale arbitrio nelle scelte strategiche aziendali. Precarietà sistematica del proprio lavoro. Frattura tra lavoratori. Tavoli di crisi funzionali al meno peggio, non al meglio. La stragrande maggioranza delle forze politiche che compongono il Parlamento ed il Governo stesso, davanti a questi focolai di crisi sociale, reagiscono in piena continuità con il presupposto ideologico che ha prodotto la legislazione sul lavoro a partire dagli anni novanta: le imprese devono essere libere di fare i loro comodi, altrimenti aprono altrove, oppure chiudono quello che c’è. Ma come è possibile pensare che l’unico modo per stare nella catena globale della produzione sia quello di lasciare mano completamente libera alle imprese, demolire gli istituti di stabilizzazione del lavoro, continuare a sussidiarle senza alcun vincolo di strategia industriale? Come è possibile che nel dibattito su questo le istanze radicali siano confinate nel territorio di Sinistra Italiana? (leggi qui ). Dov’è finito il Draghi libero dall’incarico in BCE che scrive sul Financial Times articoli keynesiani sull’uscita dalla crisi epidemica mondiale?

leggi qui

Tutti immaginiamo quanto sia più semplice scrivere ricette economiche su un foglio di giornale piuttosto che governare un Paese. La distanza tra le due imprese è incolmabile, e tuttavia l’autorevolezza riconosciuta all’attuale premier è un elemento che il medesimo dovrebbe spendere in prima persona per orientare scelte economiche e gestire situazioni calde. Per adesso, la sensazione è che di quel Draghi visionario di maggio 2020 si sia visto ben poco. Si vede invece Giorgetti, il suo ministro dello Sviluppo Economico, dichiarare con candore che le imprese “vogliono evitare fastidi e confusioni sindacali e quindi vanno a investire in qualche terreno vergine”. Vergine di cosa? Di diritti per chi lavora, evidentemente. Sembra passato un secolo – in realtà solo nove anni – da quando l’AD di Ikea Italia affermava che l’art.18 non è un problema, ma è “l’incertezza dei tempi della burocrazia e della politica” a rendere difficile investire in Italia. Se l’epidemia mondiale da Covid-19 doveva costituire l’occasione per ripartire utilizzando parametri nuovi per lo sviluppo economico, sul fronte dei diritti per chi lavora sembra di moda un salto all’indietro: la concorrenza si gioca sul massimo ribasso dei costi e delle tutele per i lavoratori. Una battaglia non solo scellerata, ma destinata alla sconfitta: quando milioni di lavoratori nel mondo (in Cina, in India) si stanno appena affacciando sulla soglia dei diritti minimi, appare chiaro che l’unico modo che ha l’Italia di non perdere il proprio tessuto industriale non è quello di abbassare salari e diritti al loro livello, ma quello di creare filiere di produzione di qualità. Invece si continua a perseverare sulla strada della riduzione delle tutele e dei diritti, fino a prendersela addirittura col reddito di cittadinanza, come se il problema fosse garantire cibo agli indigenti, anziché restituire dignità e giusto salario al lavoro.

tag:

Nicola Cavallini

E’ avvocato, ma ha fatto il bancario per avere uno stipendio. Fa il sindacalista per colpa di Lama, Trentin e Berlinguer. Scrive romanzi sui rapporti umani per vedere se dal letame nascono i fiori.

PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it


Ti potrebbero interessare