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Ho letto che a Los Angeles gli amministratori stanno prendendo in considerazione l’idea di introdurre una lotteria per premiare i cittadini che andranno a votare per le elezioni locali, come soluzione per contrastare la bassa affluenza alle urne. Il progetto di lotteria è all’esame del Consiglio comunale che discuterà l’istituzione di un premio da 100mila dollari da dividere in quattro premi di 25mila dollari, o in 100 premi da mille dollari ciascuno per gli elettori più fortunati. La proposta scaturisce dal tentativo di invertire una tendenza al ribasso nella partecipazione degli elettori. Lo scorso anno, solo il 23 per cento degli elettori di Los Angeles ha partecipato alle elezioni amministrative, contro il 37 per cento del 2001. Coloro che hanno proposto l’idea argomentano: “Considerando che la nostra democrazia è una democrazia rappresentativa, se circa il 23 per cento delle persone scelgono i leader della città, dobbiamo chiederci se questi stanno davvero rappresentando la maggioranza”. Certo quando si parla di maggioranza o minoranza, è difficile ignorare la base reale sulla quale tale maggioranza viene calcolata.
Il problema esiste, al di là delle norme elettorali ed è riduttivo e ingenuo vederlo unicamente come l’esito di una caduta di reputazione delle istituzioni e dell’azione pubblica e, quindi, come un fenomeno che potrebbe essere invertito con una svolta di onestà. Condizione questa imprescindibile e auspicabile. La questione riguarda anche la trasformazione epocale dell’idea di partecipazione. Sul piano del rapporto con le istituzioni, credo che l’esercizio della cittadinanza vada spostandosi dalla decisione al controllo: da anni, del resto, il cinema americano ha messo in scena grandi campagne di opinioni sollecitate da episodi di corruzione o da scelte lesive della salute dei cittadini.
La partecipazione sta cambiando profondamente forma in una pluralità di modi. E’ stato coniato il termine di “hashtag activism” per descrivere quella forma di attivismo che si esprime con un post o con un like, senza che ciò comporti alcun serio impegno rispetto al tema, una modalità di risposta sociale superficiale che avrebbe il solo obiettivo di sentirsi a posto con la coscienza e poter dire di avere fatto qualcosa. Questa espressione “debole” di cittadinanza tende a banalizzare le questioni, producendo ulteriore disinformazione piuttosto che una crescita di sensibilità. Ma, obietterà qualcuno, è difficile stabilire in quali casi una campagna di opinione svanisca senza lasciare alcuna traccia e quando contribuisca a portare un tema all’attenzione dell’agenda politica.
Altre forme di partecipazione vanno profilandosi come contributo al bene comune: ad esempio, molte delle informazioni che noi utilizziamo in rete derivano dal fatto che i cittadini si scambiano esperienze in rete. Queste informazioni nelle città possono migliorare il traffico, ridurre i costi dell’inquinamento, massimizzare i vantaggi della creatività, ridurre i costi di molti servizi. È la sharing economy che comprende ormai diversi progetti nati grazie ai processi collaborativi che riguardano la sostenibilità ambientale, la riduzione dello spreco, Il salone dell’innovazione sociale del 7-8 ottobre a Milano ha trattato questi temi. Segnalo un solo titolo: “La sospesa: spesa consapevole, reciprocità, innovazione”. (www.csreinnovazionesociale.it)

Maura Franchi – Laureata in Sociologia e in Scienze dell’educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing, Marketing del prodotto tipico. I principali temi di ricerca riguardano i mutamenti socio-culturali connessi alla rete e ai social network, le scelte e i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.
maura.franchi@gmail.com

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Maura Franchi

È laureata in Sociologia e in Scienze dell’Educazione. Vive tra Ferrara e Parma, dove insegna Sociologia dei Consumi, Social Media Marketing e Web Storytelling, Marketing del Prodotto Tipico. Tra i temi di ricerca: le dinamiche della scelta, i mutamenti socio-culturali correlati alle reti sociali, i comportamenti di consumo, le forme di comunicazione del brand.

Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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