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Il palco trasformato in una cattedra e il teatro in un’aula per la lezione di Costituzione del professor Gherardo Colombo. E’ accaduto venerdì sera al De Micheli di Copparo. E si è capito subito che sarebbe stata una lezione del tutto insolita: per le incursioni musicali del bidello Tommaso Zanella “Piotta”, per le silhouette di don Chisciotte e Sancho Panza che svettavano sullo sfondo, ma soprattutto perché il prof ha esordito affermando di “non volere la cattedra, perché divide chi ha il potere da chi non ce l’ha”.
“Freedom…imparare la libertà” è un’ulteriore prova delle grandi doti di divulgatore dell’ex magistrato che per quasi due ore guida i suoi studenti, alcuni dei quali abbastanza fuori corso, ma per la maggior parte giovani e giovanissimi, alla ricerca del significato pratico e concreto del termine libertà.
“Cos’è la libertà in una parola?”: questa è la domanda che il professor Colombo pone al pubblico scendendo dal palco, perché non è giorno di interrogazione, ma di dialogo e di condivisione. “Scegliere” dicono dalle prime file…i soliti secchioni!
“Giusto, ma scegliere cosa?” Non si può scegliere di volare se non si hanno le ali e non si può scegliere il completo isolamento se si è animali sociali. Ecco dunque le prime due parole d’ordine: la finitezza e il bisogno di socialità di ogni essere umano, questi sono i confini entro cui la nostra libertà può muoversi. Scegliere poi implica prendersi la responsabilità delle proprie scelte e avere il livello di conoscenza e di consapevolezza per poterlo fare. In altre parole è necessario “avere la capacità di esercitare effettivamente la propria libertà”. Infine scegliere presuppone la possibilità di operare una scelta fra diverse opinioni: insomma il pluralismo democratico. Ecco così stabilito il circolo indissolubile fra democrazia, pluralismo, libertà di pensiero.
Ma dove viene sancita questa nostra libertà? Nella nostra Costituzione, dove sono contenuti i nostri diritti e i doveri che rendono effettivi questi diritti perché “il nostro diritto di espressione corrisponde al dovere degli altri di non metterci una mano davanti alla bocca mentre parliamo”. Per farci capire che dentro la Costituzione c’è già scritto tutto, basta volerla attuare, Colombo racconta storie di diritti negati e violati: Piergiorgio Welby e la scuola Diaz del G8 di Genova. Si va dall’articolo 2, nel quale la Repubblica riconosce e tutela i diritti inviolabili dell’uomo, all’articolo 13 sull’inviolabilità della libertà personale, dall’articolo 32 sulla tutela della salute e sul rispetto della persona come limite del trattamento sanitario, agli articoli 17 e 18 che sanciscono il diritto di riunione e di associazione. Ma soprattutto il vero architrave di questa delicata struttura, l’articolo 3, il più innovativo di tutti: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Nella mente affiora il ricordo di don Gallo: “Le mie bussole sono due: come partigiano e come essere dotato di una coscienza civile, la mia prima bussola è la Costituzione. Poi, come cristiano, la mia bussola è il Vangelo”. Colombo usa invece le parole di qualcuno che la Costutzione l’ha scritta e poi ha passato il resto della sua vita a difenderla e a farla conoscere ai giovani: Piero Calamandrei. “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile, bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo politico che è – non qui, per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghe categorie di giovani – una malattia dei giovani”.
Ecco dunque, come in ogni scuola che si rispetti, i compiti per casa: dare un ulteriore significato all’articolo 1, “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. La libertà è una cosa faticosa, impegnativa, “è un percorso che si conquista giorno per giorno”, perciò se non lavoriamo quotidianamente sul nostro stare assieme responsabilmente, “come faremo a crescere e diventare davvero una democrazia?”

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Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

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