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Non è il ‘classico’ libro sulla Shoah e non è nemmeno un libro di memorie famigliari, o meglio non è solo questo. “Un mondo senza noi” è piuttosto il diario di bordo di un viaggio che, come scrive Gad Lerner nella prefazione, infrange le barriere temporali e geografiche: dall’Ottocento al 2014, dall’antica Ragusa (attuale Dubrovnik) ad Ancona, da Padova a Tel Aviv, dall’Italia di ieri all’Israele di oggi. E c’è una tappa anche nella città estense: qui gli avi paterni di Manuela, i Vitali Norsa, avevano un banco di credito “talmente ricco da possedere la Scola Farnese di Ferrara”. Secondo le “carte di casa”, quando il banco è fallito, con grande rammarico del bisnonno Israel e del nonno Beppi, la Scola è stata donata alla comunità. Chissà se è la sinagoga che tutti i ferraresi conoscono come Scola Fanese. Difficile dirlo, “l’archivio della comunità ebraica di Ferrara durante la Seconda Guerra Mondiale servì a scaldare le membra intirizzite delle truppe marocchine aggregate alle forze alleate”, scrive l’autrice.

“Un mondo senza noi” di Manuela Dviri (Piemme Voci, 2015), è stato presentato giovedì pomeriggio alla sala Alfonso I d’Este dall’Istituto di Storia contemporanea in collaborazione con l’Associazione “Il Fiume”. L’autrice si ritiene “fortunata” ad avere un passato: “un buon tre quarti degli israeliani non ce l’ha, perché è stato completamente spazzato via dalla Shoah”. “È una storia italiana” afferma giovedì pomeriggio: è vero, anche se sono le pagine di cui l’Italia non può certo andare fiera. Uno spaccato dell’ebraismo italiano, le cui vicende sono profondamente intrecciate con la storia di questa nazione, soprattutto dal Risorgimento, nel quale le leggi razziali del 1938 irrompono come un fulmine a ciel sereno: una “negrigura” come la chiamano i Vitali Norsa, da una parola spagnola usata dalle famiglie ebraiche di allora che indicava una cosa fatta male. Soprattutto fatta da italiani contro altri italiani. “Novantasei professori universitari, centotrentatrè assistenti universitari, duecentosettantanove presidi e professori di scuola media, un centinaio di maestri elementari, duecento liberi docenti, duecento studenti universitari, mille studenti delle medie e quattromilaquattrocento delle elementari”, “Quattrocento dipendenti pubblici, cinquecento dipendenti di aziende private, centocinquanta militari e duemilacinquecento professionisti”: tutti all’improvviso italiani di serie B. Manuela Diviri racconta del trauma vissuto da sua madre e dalla sorella Bice, dalle cuginette Marina e Edgarda, e del fatto che sette anni dopo, quando sono tornate a scuola nessuno ha chiesto loro dove erano state.

“Un mondo senza noi” è un libro per mettere gli italiani di fronte alle proprie responsabilità: “il dittatore era uno, ma le folle erano sempre lì ad applaudire” e c’è stato un solo caso di professore universitario che ha rifiutato di ricoprire una cattedra lasciata libera da un collega di origine ebraica. “Possiamo imparare a non essere più parte di quelle folle”: Diviri, anche dopo aver perso il suo figlio più piccolo a soli 21 anni mentre prestava servizio nell’esercito sul confine libanese, anzi forse proprio per questo, non può e non vuole perdere la speranza.
Ma in “Un mondo senza noi” non c’è solo un’accusa, c’è anche l’interrogarsi in prima persona: “c’è una domanda morale che mi faccio ogni giorno – confessa – ed è cosa avrei fatto io se mi fossi trovata dall’altra parte”.
“Se Hitler alla fine avesse vinto, il mondo senza ebrei, senza omosessuali, senza disabili e senza rom sembrerebbe ai più del tutto normale, naturale, logico, perfetto”, ecco perché ciascuno di noi, per cercare di non essere mai parte di una folla, ogni giorno deve “guardare dentro di sé e cercare di restare umano”.

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Federica Pezzoli


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Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

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