Skip to main content

“Volevo un lavoro onesto, e la guardia è un lavoro onesto… ecco perché sto in polizia!”
(da “A.C.A.B. All cops are bastards” di Stefano Sollima)

Sono ormai passati dieci anni da quel 25 settembre 2005. Oltre che con il proprio dolore i genitori di Federico Aldrovandi cominciano a confrontarsi con i risultati ottenuti, con gli obiettivi ancora da raggiungere, con gli ostacoli superati e quelli ancora da superare sulla strada che hanno intrapreso, loro malgrado, dopo quella maledetta alba autunnale. È un bilancio che, almeno questo, non fanno soli, ma insieme agli altri famigliari delle vittime di violenza da parte di forze di polizia e a tutto il movimento che in questi anni si è formato intorno a questi fatti di cronaca. Sabato 26 settembre alla Sala estense la domanda è stata: cosa abbiamo ottenuto?
Una prima risposta, secondo Cinzia Gubbini de “La Repubblica”, è la proprio formazione di un movimento, l’attenzione di parte dell’opinione pubblica: “c’è stato un cambiamento nelle persone”, “ora quando accade qualcosa, perché questi fatti continuano ad accadere, davanti al racconto della persona problematica o dell’emarginato, nella testa delle persone si accende una lampadina e ci si chiede se è andata proprio così”. Anche grazie a queste scintille di dubbio e alle associazioni che lavorano su questo tema “ora è più facile denunciare”.
Anche Valentina Calderone dell’associazione “A buon diritto” sottolinea che “il dolore si è espanso” e sempre più “la giustizia che Federico ha avuto è patrimonio diffuso”: sia nel senso che le sentenze sono punti fermi, mattoni su cui costruire nuova strada, sia nel senso che la vicenda non riguarda più solo il privato della famiglia di Federico, nel bene e nel male. “Ora – aggiunge Valentina – siamo più preparati di dieci anni fa perché sappiamo che ci sono azioni che si ripetono, abbiamo individuato il filo comune che lega queste storie, perciò oggi sappiamo come dobbiamo comportarci, cosa dobbiamo fare quando succedono questi episodi”.
Tuttavia, secondo Cinzia, rimangono ancora tante ombre: “i processi quasi sempre si perdono e non è facile fare indagini su questi eventi”. E poi c’è l’ombra del dibattito politico, prima di tutto sull’introduzione del reato di tortura, che ancora manca nel nostro paese nonostante la Repubblica Italiana abbia sottoscritto la Convenzione internazionale contro la tortura ben venticinque anni fa.
È sconfortante sapere da Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia, che “quando si cercano verità e giustizia gli ostacoli che si incontrano sono molti” e lo è ancora di più sapere che la ragione è “quasi sempre di tipo culturale”: “si pensa che non sia nell’interesse delle forze di polizia individuare e punire chi compie violazioni dei diritti umani”. Per questo anche in Italia, quando si parla del reato di tortura, “ci sono coloro che non lo vogliono perché pensano che sia una criminalizzazione delle forze di polizia, oppure coloro che lo introdurrebbero, ma con limitazioni”. E da qui deriva “tutta una semantica che serve per nascondere e aggirare la tortura”. Il testo appena approvato in commissione giustizia al Senato sembra essere un esempio calzante: secondo quanto scritto, “il reato di tortura si configura solo quando c’è reiterazione dei comportamenti. Significa che la tortura si può compiere solo una volta?” si chiede Marchesi (e molti altri con lui). Se prima, fra coloro che se ne occupano, alcuni pensavano che un testo con imperfezioni e difetti fosse meglio di nulla, “di fronte a una definizione di questo genere siamo tutti concordi nel pensare che questo testo non va”. “La prospettiva è estremamente grigia”, conclude Marchesi.
Come Amnesty anche Antigone, l’associazione per i diritti e le garanzie nel sistema penale, era fra coloro che pensavano che un testo, seppur discutibile, fosse comunque meglio di niente. “Ma non con questa formulazione approvata dalla commissione giustizia del Senato”, sottolinea Elia De Caro. In realtà, secondo De Caro, “l’introduzione del reato di tortura non è un attacco alle forze di polizia, ma una tutela: in assenza di numeri identificativi che possano permettere l’individuazione dei responsabili si alimentano lo spirito di corpo e i fenomeni distorsivi”, senza che si possano prendere le distanze da chi commette violazioni.
Il più pessimista sembra essere il giornalista Checchino Antonini: “il bilancio è drammaticamente negativo”, “viviamo in un eterno presente nel quale dobbiamo continuamente dare spiegazioni e giustificazioni su ciò che è avvenuto”, “la polizia è allergica alla democratizzazione e la politica è allergica a un cambiamento del sistema di detenzione”. La sua è però anche una pesante autocritica: la vicenda di Federico a suo tempo è stata recepita dalle “antenne sensibili” del movimento No Global, “ora siamo diventati autoreferenziali e ci sentiamo sempre più soli perché fatichiamo a comunicare fra noi, figuriamoci a bucare un’opinione pubblica sempre più esposta a una cultura della guerra e a un’emergenza della sicurezza cavalcata dalla politica”. Ecco perché secondo Antonini bisognerebbe provare a uscire dalle proprie nicchie, da questa polverizzazione e lavorare tutti alla diffusione di una cultura dei diritti contro quella, a quanto pare dominante, dei soprusi.

tag:

Federica Pezzoli


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it