Skip to main content

Nudità e corporeità sono atteggiamenti (e concetti) molto simili, quasi sovrapponibili e legati nella maggior parte dei casi a esperienze artistiche che in gran parte hanno siglato il Novecento. Il cinema ci ha abituato a questa progressiva spoliazione fino al limite (ora superato) del sesso maschile in attività. Altrettanto in certe performances si è visto e rivisto; ma nella progressiva liberazione dai panni la nudità è diventata anche protesta politica come quella del gruppo di Femen o delle ragazze incarcerate perché hanno inscenato una protesta politica a seno nudo nelle chiese ortodosse russe.

Anche questo uso viene superato ora con una molto originale (?) azione inscenata a Firenze davanti a uno dei più celebri quadri di ogni tempo, La Primavera di Botticelli. Riportano le cronache che un uomo si è rapidamente sbarazzato di tutti i vestiti e nudo si è prostrato davanti all’opera spargendo petali di rosa profumati. Il tempestivo arrivo dei custodi non è stato però così rapido da non permettere quello che forse era l’intendimento dell’attore di questa scena: essere registrato in una foto che sarà guardata da milioni di persone. Dunque la nudità diventa immagine che si propone come sostitutiva della sessualità.

Già da tempo i cinema a luci rosse ci avevano abituato alla mimesi dell’atto sessuale dove tra ansiti e mugugni di fronte all’esplosione di performances inaudite per gli avidi spettatori si consumava la solitudine di un inevitabile autosoddisfacimento. Tempi lontani ora sostituiti dai più tecnici siti dei media dove sempre di più l’erotismo è consumato in solitudine senza bisogno del partner etero o omo che sia. A questo sistema si abituano molti “utenti” di ogni età quasi che “fare sesso”, come hanno proclamato da tempo culture diversamente soggette a vincoli religiosi o etici, diventi un fatto puramente immaginativo.
E così nascono situazioni artisticamente straordinarie come quelle espresse nel film Lei dove il protagonista fa l’amore con una voce registrata e non con una partner. La solitudine del sesso si esprime in questa rassegnazione a una facoltà immaginativa che non cerca l’altro ma si autocompiace della propria e unica fonte. Se stessi. La nudità dunque perde ogni carica eversiva mentre lo scandalo o perlomeno il proibito si trasferisce alla parola che spalanca violenze e situazioni apparentemente invalicabili.

Su questo stesso giornale la violenza della parola molto peggio di quella carnale o dello scandalo della nudità è stata giustamente sottolineata da Mauro Presini nell’articolo in cui commenta una frase del critico d’arte Vittorio Sgarbi, candidato dai Verdi alla guida del comune di Urbino. Ecco il punto dell’articolo di Presini che m’interessa sottolineare: “Esprimendo il proprio pensiero – riferisce l’articolista – a proposito della proposta di rendere il centro storico accessibile attraverso l’uso di scale mobili e di ascensori gratuiti, il nostro ha dichiarato: ‘Mi fa schifo solo la parola. Una città civile non ha né ascensori né scale mobili. Solo quelle abitate da nani, zoppi e handicappati hanno le scale mobili. Se le devono mettere nel culo’.”
L’uso della metafora sessuale così cara a Grillo (il vaffa…) si associa a un concetto chiaramente riconducibile alla sfera della corporeità altra: i nani, gli zoppi, gli handicappati, strappando nell’immagine di una nudità della parola l’orrenda simbologia che non è parlar chiaro ma esprimere la violenza dell’immagine che si realizza nella parola.

Solo pochi decenni fa nel 1960 in Inghilterra si è permessa la pubblicazione di un libro che ora appare innocente come L’amante di Lady Chatterley scritto da Lawrence nel 1928. Anche qui l’erotismo che gioca una importante parte nel triangolo tra la donna, il marito paraplegico, e l’operaio che sostituisce il dovere/piacere del sesso non esercitato dal marito. La nudità della parola è molto più complessa di quella del corpo, ma anche più nociva quando non descrive l’atto sessuale anche il più perverso ma si accanisce sull’orrore della debolezza di chi non sa né può difendersi.
Ancora una volta il parallelo tra le arti assegna alla parola il primato sulle altre forme d’espressione. Perfino il twittare può rivelare nella nudità dei 140 caratteri una perfidia etica difficilmente controllabile. Una specie di slogan pericoloso nel cui nome si affrontano battaglie cruente. Ma ciò che colpisce veramente è il senso di come la globalizzazione dei concetti, delle parole, dei modi di espressione nel momento stesso che si compie in simultanea ci restringe nel cerchio della solitudine e del solipsismo.

Il comunicare attraverso il corpo (scusatemi la sentenza degna di Crozza che imita Renzi) in fondo ribadisce la solitudine. Il concetto di nudità del corpo è molto familiare a chi, come chi scrive queste note, è stato osservatore attento della ribellione studentesca degli anni Sessanta. Dal raduno nel 1968 sull’isola di Wight al musical Hair fino alla moda del naturismo che ha raggiunto il suo apice negli anni Ottanta per poi tramontare. Ma alla mia generazione la scoperta della nudità del corpo è affidata anche alle atroci immagini dei campi di concentramento nazisti colte nel momento della liberazione. Un indicibile e indimenticabile galleria dell’orrore ma comunque essa sia stata ripresa nel tempo, nulla raggiunge la testimonianza della parola che descrive quella nudità: come in Primo Levi. Tramontata la sacralità del corpo, resa usuale la trasmissione della bellezza o dell’orrore del corpo nudo nelle arti, la nudità rimane ora l’espressione più icastica di una solitudine e di una scelta solipsistica.

Ma già Lui, Dante, ne aveva capito la potenza e la grandezza. Non nei corpi nudi dei dannati o degli espianti, ma in quella sublime nudità che è la testimonianza più alta della missione unica che Francesco, il poverello, prende su di sé. E si spoglia nudo per sposare una donna che nessuno vuole. La povertà. Chi voglia riconoscere la grandezza della parola che descrive questa nudità legga o rilegga il canto XI del Paradiso. E ora? Forse l’esibizione di una lap dance o certe serate eleganti trascorse in villa testimoniano il degrado della nudità del corpo.

tag:

Gianni Venturi

Gianni Venturi è ordinario a riposo di Letteratura italiana all’Università di Firenze, presidente dell’edizione nazionale delle opere di Antonio Canova e co-curatore del Centro Studi Bassaniani di Ferrara. Ha insegnato per decenni Dante alla Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. E’ specialista di letteratura rinascimentale, neoclassica e novecentesca. S’interessa soprattutto dei rapporti tra letteratura e arti figurative e della letteratura dei giardini e del paesaggio.

I commenti sono chiusi.


PAESE REALE

di Piermaria Romani

PROVE TECNICHE DI IMPAGINAZIONE

Top Five del mese
I 5 articoli di Periscopio più letti negli ultimi 30 giorni

05.12.2023 – La manovra del governo Meloni toglie un altro pezzo a una Sanità Pubblica già in emergenza, ma lo sciopero di medici e infermieri non basterà a salvare il SSN

16.11.2023 – Lettera aperta: “L’invito a tacere del Sindaco di Ferrara al Vescovo sui Cpr è un atto grossolano e intollerabile”

04.12.2023 – Alla canna del gas: l’inganno mortale del “mercato libero”

14.11.2023 – Ferrara, la città dei fantasmi

07.12.2023 – Un altro miracolo italiano: San Giuliano ha salvato Venezia

La nostra Top five
I
 5 articoli degli ultimi 30 giorni consigliati dalla redazione

1
2
3
4
5

Pescando un pesce d’oro
5 titoli evergreen dall’archivio di 50.000 titoli  di Periscopio

1
2
3
4
5

Caro lettore

Dopo molti mesi di pensieri, ripensamenti, idee luminose e amletici dubbi, quello che vi trovate sotto gli occhi è il Nuovo Periscopio. Molto, forse troppo ardito, colorato, anticonvenzionale, diverso da tutti gli altri media in circolazione, in edicola o sul web.

Se già frequentate  queste pagine, se vi piace o almeno vi incuriosisce Periscopio, la sua nuova veste grafica e i nuovi contenuti vi faranno saltare di gioia. Non esiste in natura un quotidiano online con il coraggio e/o l’incoscienza di criticare e capovolgere l’impostazione classica di questo “il giornale” un’idea (geniale) nata 270 anni fa, ma che ha introdotto  dei codici precisi rimasti quasi inalterati. Nemmeno la rivoluzione digitale, la democrazia informava, la nascita della Rete, l’esplosione dei social media, hanno cambiato di molto le testate giornalistiche, il loro ordine, la loro noia.

Tanto che qualcuno si è chiesto se ancora servono, se hanno ancora un ruolo e un senso i quotidiani.  Arrivano sempre “dopo la notizia”, mettono tutti lo stesso titolo in prima pagina, seguono diligentemente il pensiero unico e il potente di turno, ricalcano in fotocopia le solite sezioni interne: politica interna, esteri, cronaca, economia, sport…. Anche le parole sembrano piene di polvere, perché il linguaggio giornalistico, invece di arricchirsi, si è impoverito.  Il vocabolario dei quotidiani registra e riproduce quello del sottobosco politico e della chiacchiera televisiva, oppure insegue inutilmente la grande nuvola confusa del web.

Periscopio propone un nuovo modo di essere giornale, di fare informazione. di accostare Alto e Basso, di rapportarsi al proprio pubblico. Rompe compartimenti stagni delle sezioni tradizionali di quotidiani. Accoglie e dà riconosce uguale dignità a tutti i generi e tutti linguaggi: così in primo piano ci può essere una notizia, un commento, ma anche una poesia o una vignetta.  Abbandona la rincorsa allo scoop, all’intervista esclusiva, alla firma illustre, proponendo quella che abbiamo chiamato “informazione verticale”: entrare cioè nelle  “cose che accadono fuori e dentro di noi”, denunciare Il Vecchio che resiste e raccontare Il Nuovo che germoglia, stare dalla parte dei diritti e denunciare la diseguaglianza che cresce in Italia e nel mondo. .

Con il quotidiano di ieri, così si diceva, oggi ci si incarta il pesce. Non Periscopio, la sua “informazione verticale” non invecchia mai e dal nostro archivio di quasi 50.000 articoli (disponibile gratuitamente) si pescano continuamente contenuti utili per integrare le ultime notizie uscite. Non troverete mai, come succede in quasi tutti i quotidiani on line,  le prime tre righe dell’articolo in chiaro… e una piccola tassa per poter leggere tutto il resto.

Sembra una frase retorica ma non lo è: “Periscopio è un giornale senza padrini e senza padroni”. Siamo orgogliosamente antifascisti, pacifisti, nonviolenti, femministi, ambientalisti. Crediamo nella Sinistra (anche se la Sinistra non crede più a se stessa), ma non apparteniamo a nessuna casa politica, non fiancheggiamo nessun partito e nessun leader. Anzi, diffidiamo dei leader e dei capipopolo, perfino degli eroi. Non ci piacciono i muri, quelli materiali come  quelli immateriali, frutto del pregiudizio e dell’egoismo. Ci piace “il popolo” (quello scritto in Costituzione) e vorremmo cancellare “la nazione”, premessa di ogni guerra e  di ogni violenza.

Periscopio è quindi un giornale popolare, non nazionalpopolare. Un quotidiano “generalista”,  scritto per essere letto da tutti (“quelli che hanno letto milioni di libri o che non sanno nemmeno parlare” F. De Gregori), da tutti quelli che coltivano la curiosità, e non dalle elites, dai circoli degli addetti ai lavori, dagli intellettuali del vuoto e della chiacchiera.

Periscopio è  proprietà di un azionariato diffuso e partecipato, garanzia di una gestitone collettiva e democratica del quotidiano. Si finanzia, quindi vive, grazie ai liberi contributi dei suoi lettori amici e sostenitori. Accetta e ospita sponsor ed inserzionisti solo socialmente, eticamente e culturalmente meritevoli.

Nato quasi otto anni fa con il nome Ferraraitalia già con una vocazione glocal, oggi il quotidiano è diventato: Periscopio naviga già in mare aperto, rivolgendosi a un pubblico nazionale e non solo. Non ci dimentichiamo però di Ferrara, la città che ospita la redazione e dove ogni giorno si fabbrica il giornale. e Ferraraitalia continua a vivere dentro Periscopio all’interno di una sezione speciale, una parte importante del tutto. 
Oggi Periscopio ha oltre 320.000 lettori, ma vogliamo crescere e farsi conoscere. Dipenderà da chi lo scrive ma soprattutto da chi lo legge e lo condivide con chi ancora non lo conosce. Per una volta, stare nella stessa barca può essere una avventura affascinante.  Buona navigazione a tutti.

Tutti i contenuti di Periscopio, salvo espressa indicazione, sono free. Possono essere liberamente stampati, diffusi e ripubblicati, indicando fonte, autore e data di pubblicazione su questo quotidiano.

Francesco Monini
direttore responsabile


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it