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Comunicato Stampa Nursing Up.

Coronavirus, Nursing Up De Palma: «Il focolaio da variante inglese esploso nell’ospedale di Abbiategrasso, con ben sette infermieri contagiati nonostante l’avvenuta somministrazione della seconda dose di Pfizer, ci pone di fronte alla necessità di interventi urgenti e indagini specifiche. Tuteliamo una volta per tutte la salute dei nostri operatori sanitari costantemente esposti al rischio».

ROMA 6 APR 2021 – «Il caso del focolaio da variante inglese esploso nell’ospedale lombardo di Abbiategrasso, in una Regione che da sempre, dall’inizio della pandemia, è quella più vessata dal virus e chiaramente più a rischio, sia per pazienti che per la salute degli infermieri, ci pone di fronte all’avvenuto contagio di ben sette colleghi che erano già stati sottoposti alla seconda somministrazione di Pfizer. Ci sorprende e ci preoccupa, poi, il fatto che solo uno di questi professionisti lavorava in un’area Covid».

Antonio De Palma, Presidente del Nursing Up, Sindacato Nazionale Infermieri, chiede al Ministero della Salute, in tempi brevi, l’avvio di uno studio specifico per comprendere la reale copertura dei vaccini anti-covid, attualmente a disposizione, in particolare su quei soggetti, parliamo proprio degli operatori sanitari che, in prima linea ogni giorno nella lotta contro il virus, più di altri corrono il rischio di entrare a contatto con l’agente eziologico Sars Cov 2 e che pertanto  bisogna proteggere in maniera particolare, se non vogliamo che l’altalena dei contagi diventi una costante del nostro vivere quotidiano.

«Le loro condizioni di salute, in alcuni casi legati a un idoneo livello anticorpale non raggiunto nonostante il vaccino, o che, seppur raggiunto, si è abbassato troppo repentinamente, e poi la costante esposizione ad un virus che è mutato, e che, anche se coinvolge un numero inferiore di persone, è chiaramente più potente e aggressivo, e nel contempo la conosciuta, purtroppo non totale efficacia dei prodotti in uso, devono rappresentare un chiaro campanello di allarme che non deve lasciare immobili le istituzioni. Non ci basta che venga affidata alla mera casistica la spiegazione di vicende gravi e allarmanti come questa. Di fronte a casi di tal genere la scienza deve mobilitarsi. Le mere citazioni cartesiane non risolvono il problema.

Non possiamo certo rimanere impassibili di fronte a episodi come questo. Insomma qui si parla di gente che si ammala di Covid addirittura a distanza di mesi dalla seconda somministrazione.

Non possiamo permettere, senza prima tentare ogni possibile strada per evitarlo, che un infermiere già vaccinato si infetti, dando per scontato che non subirà gravi conseguenze dall’aver contratto il virus, e soprattutto non possiamo accettare sommessamente che diventi a sua volta un rischio involontario per i soggetti con cui viene a contatto, siano essi familiari, colleghi o pazienti.

Nell’immediato non possiamo fare altro che affidarci ad azioni mirate, ad una sinergia che si traduca in screening costanti sulla salute degli operatori sanitari, promuovendo tamponi quotidiani sul personale e misurazioni del livello anticorpale su chi si è già vaccinato.

Non possiamo certo aspettare che un infermiere si ammali e che magari contagi colleghi e pazienti per capire di non aver opportunamente e previamente valutato e monitorizzato le sue condizioni. Gli operatori sanitari, già vaccinati, che presentano livelli anticorpali bassi, e quindi condizioni di palese rischio, in presenza di prodotti anti-covid del cui effetto non abbiamo ancora evidenze incontrovertibili e definitive (oltre agli studi condotti dalle rispettive case), in tema di percentuali di efficacia, vanno tutelati e protetti molto prima che possano infettarsi, diventando anche veicolo di contagio per gli altri.

Non lasciamo che il pressappochismo e la superficialità delle aziende sanitarie metta ancora più a rischio la salute degli infermieri, ben più di quanto il virus non abbia già fatto fin ora.

E’ necessario ricordare ai nostri politici, che spesso si mostrano incapaci di “coordinare” pensieri e parole, che il rischio per gli infermieri che combattono in prima linea contro il Covid non è ancora diventato un lontano ricordo.
In queste ultime settimane abbiamo “crocifisso” taluni infermieri, li abbiamo “marchiati” come untori solo perchè, alcuni di loro, si sono legittimamente riservati un tempo di attesa funzionale alla scelta di vaccinarsi.

Abbiamo aperto, e non certo per la prima volta, la stagione della caccia alle streghe come fossimo ai tempi della Santa Inquisizione.

Ora basta! La maggior parte dei professionisti infermieri non ha esitato di fronte alla necessità di vaccinarsi. A questo punto tuttavia, a dispetto del vaccino, e purtroppo anche dello stesso obbligo vaccinale appena introdotto, risultano essere decisamente troppi quelli che “comunque” si infettano!

Qualcuno deve spiegarci a cosa serve obbligare tutti i sanitari a vaccinarsi, se poi nessuno è in grado di dirci per quale ragione, in un contesto così ristretto come quello “di uno stesso stabilimento ospedaliero”, esplodono cluster tanto preoccupanti.

Si signori miei, perchè 7 nuovi casi tra operatori già vaccinati, tutti appartenenti al medesimo ospedale rappresentano, un campanello di allarme serio , e non lo si può considerare di certo come se si trattasse di 7 casi riscontrati tra cittadini vaccinati in diverse regioni.

Insomma qui c’è qualcosa che non convince e quindi ci chiediamo:

– a che punto siamo con gli studi? Siamo in grado di dimostrare che le percentuali di persone che si re-infettano rientrano negli standard indicati dalle case produttrici e che i livelli percentuali di immunizzazione e copertura post vaccinale sono uniformi?

– alla luce dei tanti casi di operatori sanitari re-infettati, è possibile supporre che l’efficacia del prodotto possa dipendere “in modo determinante” dalle variabili ambientali in cui il soggetto si trova ad operare e, conseguentemente, è plausibile pensare che ci troviamo di fronte ad una efficacia vaccinale che non è possibile standardizzare  “come idonea sufficiente per qualsiasi individuo”, perchè invece essa invece dipende dalle variabili caratterizzanti il contesto di vita nel quale i soggetti vaccinati vivono ed operano (o di rischio, come nel  caso specifico degli operatori sanitari, che più di altri sono esposti a relazioni dirette con pazienti infetti)?  Peraltro, nel caso in cui un’eventuale minore efficacia del vaccino, e quindi la correlata incidenza di re-infezioni, dovessero dipendere dal contesto ambientale e dal rischio a ciò correlato, si renderebbe più che mai urgente approfondire tipologia e percentuali di impatto delle singole variabili di rischio sui fenomeni di re-infezione, per tutelare gli operatori sanitari e per preservare l’integrità fisica dell’intera collettività.

Oppure, ma questa è solo un’altra domanda che poniamo a noi stessi ed alla collettività scientifica, può la reale efficacia del vaccino dipendere in maniera tanto importante dalla estrema variabilità della risposta immunitaria del singolo organismo che lo riceve?

In caso positivo, diventa di fondamentale importanza “conoscere quali sono i termini percentuali di riferimento e di impatto di questa variabile “. Tutto ciò è importante da sapere, perchè in tali circostanze immaginiamo che possa essere oltre modo difficile sostenere la presenza di standard di efficacia “uniformi”, cioè di effetti post somministrazione del vaccino analoghi per quasi tutti i vaccinati.  In ogni caso si rende necessario implementare attività e metodiche ricorrenti, di verifica “post vaccinazione” degli effetti che ne conseguono, per monitorizzarli e per garantire che i sanitari eventualmente soggetti a re-infezione vengano preservati e tenuti fuori dagli ambienti di lavoro affinchè non possano rappresentare un rischio per la loro salute e per quella altrui.

A tutte queste domande lo Stato deve rispondere. E ci aspettiamo risposte tempestive dal Ministro della Salute Speranza, perchè proteggere i nostri infermieri e gli altri operatori sanitari è necessario, se si vuole tutelare la salute di tutta la collettività.

Solo incamminandoci lungo questo percorso di chiarezza e di trasparenza usciremo tutti insieme, e prima possibile, da questo lungo periodo di insicurezza», chiosa De Palma.

 

 

 

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Riceviamo e pubblichiamo


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno.  L’artista polesano Piermaria Romani  si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE

di Piermaria Romani

 

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